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"Gemme e Frutti di Avvento" riporta le omelie che un frate francescano (padre Renzo Campetella) ha tenuto nel periodo di Avvento 2011/2012; esse spaziano nei campi più vasti della vita umana e costituiscono le "gemme" d'Avvento. Nella seconda parte del volume, sono descritti i "Frutti d'Avvento" ossia le esperienze che centottanta persone hanno vissuto in un ritiro sull'Amicizia effettuato a Collevalenza alla fine del tempo d'Avvento. Tra queste pagine c’è il perché della vita, c’è la chiave per arrivare alla pace, c’è l’essenza del vivere cristiano, la risoluzione di tutti i nostri problemi, la riconquista della dignità, la via del perdono, l’armonia della creazione. Non basta però, in queste pagine c’è anche la gioia e la positività dell’esistenza, la semplicità del vivere quotidiano, la saggezza dei sapienti, la verità che ci rende liberi e, soprattutto, c’è la carezza del Signore per la sua creatura. Non sono pagine per gli addetti ai lavori, sono pagine per gli uomini di tutte le nazioni, a qualsiasi cultura essi appartengano, a qualunque fede religiosa essi aderiscano, in qualsiasi contesto sociale essi vivano.
È la prima domenica d’Avvento, l’attesa del Natale è iniziata. Ci ritroviamo tutti in Chiesa con l’animo aperto alla sorpresa, perché di sorpresa si tratta: Dio s’incarnerà per ognuno di noi e il nostro corpo diventerà il suo Tempio, il nostro cuore diventerà la sua culla, la nostra vita diventerà la strada della sua amicizia. Non sappiamo ancora che questo percorso d’Avvento arricchirà la nostra fede, trasformerà il nostro quotidiano, eliminerà ogni paura dal nostro rapporto con un Padre divino che ci ama. “Vegliate!” - ci dice il nostro pastore - destatevi dal torpore, siate vigilanti perché la “vita” è quella di oggi, è quella che vivete nel presente e in essa Dio si manifesta e vi porta per mano. Aprite, allora, il vostro cuore e siate disponibili ad accogliervi il “Bambino”. Fatevi umili, semplici, bisognosi di cure come lui e troverete quello che avete sempre desiderato: “I valori della vita che donano la pace!”. In questo Avvento dobbiamo prepararci anche alle sorprese, infatti, la nascita di Gesù fu una grande sorpresa! Tutti aspettavano un re potente, un grande condottiero che avrebbe liberato la Palestina dalla dominazione romana e… che sorpresa! Gesù nacque in una stalla! Egli non è stato riconosciuto perché era uno come tutti, nato nel modo più semplice e naturale possibile: dal grembo di una donna! Sua madre era una fanciulla palestinese, giovanissima, quasi una bambina: aveva quattordici anni! Ci pensate alla grande umiltà di Dio? Poteva venire con fulmini e saette dopo tutte le ribellioni del popolo d’Israele, eppure, si è fatto uno di noi, un bambino, e aveva bisogno che la mamma lo allattasse: se la Madonna non l’avesse allattato sarebbe morto di fame, perché era un uomo come tutti.(...) Se non conosciamo Dio, viviamo il dramma di temerlo, di averne paura e sono tanti coloro che vivono questo dramma. Avere paura di Dio, però, significa non avere capito niente di Lui. È impossibile, assolutamente impossibile, avere paura di Dio quando sappiamo che Lui si è rivelato come Padre! Penso che, se solo comprendessimo bene che “Dio è nostro Padre”, tutti i nostri dubbi svanirebbero. Per farcelo capire bene, un giorno, Gesù disse: “Se voi che siete cattivi, ai vostri figli date le cose buone e se vi chiedono un pesce, non gli date una serpe, immaginate quanto possa essere buono con voi il Padre nostro che è nei Cieli!”. Allora, entriamo nel nostro Natale. Dobbiamo acquisire la grande libertà di sapere dire: “Le scelte sono mie, sono io che dico al Padre Eterno da che parte voglio stare!”. Nella Chiesa, per lungo tempo, ha predominato un senso di paura nei confronti di Dio. Nelle chiese antiche, si trova spesso un triangolo sopra la cupola, con un occhio che guarda: il triangolo rappresenta la Trinità e l’occhio è Dio che ci guarda: “Dio ti vede”, era il terrore! Dio era Colui che tutto vede! Un dio così, però, è un dio controllore, nemico della vita e, soprattutto, non è evangelico, non è ciò che Gesù ci ha insegnato. Non c’è stata, perciò, affettività verso la fede, verso la religione, ma c’è stata paura e la paura crea grandi problemi nella psiche. Non sarà così il giudizio finale. Dobbiamo capire bene che i figli non appartengono ai genitori, non sono un loro possesso, devono essere da essi curati, aiutati a crescere secondo le inclinazioni che sono loro naturali per diventare se stessi! I genitori sono stati solamente collaboratori di Dio quando hanno messo al mondo un figlio. Tanti figli sono stati rovinati dai genitori che hanno imposto loro la propria volontà: “Devi fare così perché qui comando io, sono tuo padre - dicevano”. È assurdo dire una cosa del genere. Tanti si sono rovinati e non si sono realizzati perché hanno dovuto compensare le frustrazioni del padre o della madre. Siccome il padre non era riuscito a diventare medico, allora ha preteso che lo diventasse il figlio che, invece, voleva fare il calzolaio e oggi è un dottore fallito. Allora, fermatevi un momento, meditate sulla vostra vita e pregate, chiedete a Dio qual è la vostra vocazione, che cosa vuole il Signore da voi. Perché Dio è affascinante? Perché ci accetta per quelli che siamo, nella nostra unicità: siamo unici e irripetibili, non dobbiamo copiare nessuno. Dobbiamo prendere esempio da chi è migliore di noi, ma non copiarlo. Copiare qualcuno significa non vivere la nostra vita. Ognuno di noi ha un destino, una chiamata, una missione che lo attende. Le persone sono tristi, depresse, senza vitalità o voglia di vivere perché non hanno trovato motivi validi, forti e ragionevoli per vivere, tuttavia quando sappiamo perché viviamo, possiamo goderci la vita. Tante persone non credono in Dio per la cattiva testimonianza che ne danno i cristiani. Fatevi raccontare dagli avvocati quante cause portano avanti per fratelli e sorelle che litigano su questioni economiche pur definendosi Cristiani! Vengono in Chiesa, sono stati battezzati, si sono sposati in Chiesa, hanno fatto la prima comunione e la cresima e poi si scannano tra loro, non si parlano più per quattro stracci. È bene riflettere su questo! Per delle cose che lasceremo qui perdiamo la possibilità di avere un rapporto bello con la nostra famiglia! Gesù dice: “Vuole il mantello? Ma dagli pure la tunica!”. Quando dentro il cuore non c’è la serenità, quando non c’è la pace, niente può farci felici, fratelli miei! Si può avere anche una reggia, ma se ci ballano i topi, se non abbiamo un amico, se non abbiamo una persona che ci vuole bene, che ce ne facciamo? Si può stare bene il primo e il secondo giorno, ma dopo si sente un gran vuoto interiore perché il cuore nostro è fatto per amare e per ricevere amore, solo questo lo riempie! L’affetto non si compra! L’affetto che si compra si chiama prostituzione, ecco perché le prostitute sono pagate, perché quello che dovrebbero fare per amore viene loro retribuito. La prostituzione, però, è anche quando un nipote va a trovare una volta al mese la nonna perché, in quel giorno, prende la pensione. Oppure quando si fa qualcosa per riceverne un’altra, quando si agisce per interesse, anche questa è prostituzione perché non vi è amore. Ciò vale anche nel nostro rapporto con Dio. Se andiamo a Messa perché abbiamo paura che Dio ci punisca, siamo già all’inferno. Pensiamo a che cosa proveremmo se nostro figlio venisse a trovarci la domenica solo per interesse, per ottenere un testamento vantaggioso... non ci farebbe piacere!
Il progetto di Dio fin dalla creazione del mondo era che gli uomini avessero la sua stessa condizione divina, ossia fossero immagine e somiglianza Sua! Ecco perché dice: Venite benedetti del Padre mio. Io sono sicuro, perché lo vivo per esperienza, che quando Gesù viene a prendere una persona che ogni giorno ha fatto la volontà di Dio, se la porta subito in Paradiso perché trova se stesso realizzato in lei. Quando, infatti, si fa quello che Dio vuole da noi nel quotidiano (cose semplici, giornaliere, routinarie), la Sua volontà realizzata ci santifica. Per questo il presente è importante e sono importanti le cose di ogni giorno. Non conta se le cose sono grandi o piccole, ma conta come le facciamo. Noi possiamo vivere un rapporto intimo e misterioso con Dio ventiquattro ore su ventiquattro, non dobbiamo chiedergli udienza come si fa con i potenti della terra. Per essere ricevuti dai così detti nostri potenti, infatti, è necessario fare lunghe trafile, inoltrare richieste con largo anticipo e, a volte, questo non basta perché i personaggi pubblici e le cariche istituzionali sono sempre privilegiate, hanno sempre la precedenza, mentre chi avrebbe maggiore necessità e urgenza a causa della sua condizione sociale e di salute, è trascurato. Questo, sovente, succede anche nella Chiesa. Nonostante siamo tutti figli di Dio, viene facilmente dimenticato quanto valore possa avere per un povero malato ricevere la Comunione dalle mani del Papa nelle assemblee pubbliche. Il cerimoniale spesso non lo permette e costringe il Pontefice a porgere il Corpo di Cristo ai personaggi così detti importanti! È bene ricordare che Gesù ha sempre preferito gli ultimi, i più derelitti e più poveri; è andato a cercare i disperati, non chi si trovava in situazione di vantaggio.
Il cammino verso Natale ci chiede a che punto sia la nostra fede e sta a noi dare una risposta. Fermiamoci un momento, allora, e chiediamoci chi è Gesù per noi. Forse è arrivato il momento di svegliarci, di entrare nella realtà e abbandonare i sogni, anche perché essi si avverano solo se ci destiamo. La Chiesa siamo noi, Gesù s’incarna per noi, il popolo che Dio chiama alla salvezza è composto da ognuno di noi. Non possiamo delegare ad altri la nostra vita, la dobbiamo cavalcare senza timore, superare gli ostacoli, brandire l’arma della giustizia per dire il nostro no agli scandali che dilagano, agli sprechi che c’impoveriscono, all’oscurantismo che ci minaccia, all’inciviltà che ci vuole disuguali. Gli occhi ci sono stati dati per aprirli, l’intelligenza per usarla. La vita va vissuta in modo pieno e orientata verso il sole per non morire un giorno pieni di rimpianti. Nel contesto in cui viviamo, siamo troppo egoisti. Dobbiamo allargare il nostro sguardo al mondo intero perché di esso facciamo parte tutti, anche noi! Dobbiamo collaborare affinché esso vada meglio: questo significa fare giustizia! Quando difendiamo i nostri diritti, è interesse, ma quando difendiamo i diritti di tutti, è giustizia. Quando guardiamo solo il nostro bene, è egocentrismo, è narcisismo, ma quando guardiamo il bene di tutti, diventa amore. Diamo il nome giusto alle cose! Convertirsi significa fare nascere il Santo Bambino dentro di noi. Significa guardare non solo la nostra parrocchietta ma tutta la Chiesa, tutti i nostri fratelli, tutto il mondo. San Giovanni Battista ha predicato per il popolo di Israele ma Gesù ha predicato per il mondo intero! Quando ha parlato del giudizio universale, non ha detto qui i cristiani, qui i musulmani e qui quelli di altre fedi religiose, ma ha detto: “Ho avuto fame, ho avuto sete…”, il suo messaggio è stato indirizzato a tutti gli uomini, Lui è morto e risorto per tutti. San Giovanni Battista, nell’essere coerente con se stesso, ha fatto emergere la grandezza del dono di Dio che tutti abbiamo dentro di noi. Egli ha amato in maniera dura, ha provocato, ferito, messo tutti (anche i potenti) davanti alla loro verità, li ha costretti ad assumersi le proprie responsabilità. Questo dovremmo fare anche noi e, invece, rimaniamo sul balcone ad attendere che le cose cambino: esse possono cambiare solo se cambiamo noi. La vita è nelle nostre mani, non dei governanti. Ognuno di noi deve rispondere a Dio dei doni ricevuti e restituirglieli fruttificati, come Lui ha chiesto nella parabola dei talenti. Noi ci nascondiamo sempre dietro a un dito e accusiamo la società di essere disonesta. Se ci guardassimo meglio dentro, forse, ci accorgeremmo di essere complici della società che denigriamo. La nostra società è malata perché tutti contribuiamo a farla ammalare. Allora, non mettiamoci a rubare se tutti rubano. Cambiamo il nostro atteggiamento iniziando dalle piccole cose: da una penna, da una risma di carta, da un pacco di CD sottratti al posto di lavoro; cominciamo a rispettare le regole: dal codice della strada, all’inquinamento; dal rispetto verso le persone, al rispetto verso le cose di tutti: muri, marciapiedi, locali e mezzi pubblici; cominciamo a pagare le tasse, a non fare lavorare in nero le persone… ecc.: l’elenco potrebbe non terminare mai. L’unica legge che non dobbiamo rispettare è quella che va contro la nostra coscienza. Allora, “Raddrizzare le vie del Signore” vuol dire che dobbiamo saper rischiare per ciò che ha valore. Se nella vita non rischiamo, abbiamo fallito: diventiamo dei codardi che, invece di vivere, si lasciano sopravvivere. Mi sono divertito a cercare che cosa significhi “saper rischiare” per rimanere vivi:
Maria non aveva scelto di essere vergine: se si era sposata con Giuseppe, era perché voleva essere una sposa come tutte le altre, voleva avere i rapporti che hanno tutti gli sposi. Solo dopo, ha fatto la scelta di avere solo Gesù. Era consapevole, però, dei gravi rischi cui andava incontro: se Giuseppe l’avesse denunciata, l’avrebbero lapidata, nessuno l’avrebbe potuta salvare! Non è stato facile andare da Giuseppe, che era il suo sposo, e dirgli: “È passato l’Angelo…”. Era ancora una bambina, aveva solo tredici o quattordici anni. A quei tempi, si sposavano molto giovani perché la verginità era ritenuta essenziale: il grembo violato era considerato contaminato e avrebbe reso impure le generazioni future. Giuseppe, pur volendole bene, doveva rispettare la legge e avrebbe dovuto denunciarla: anche per lui, quindi, è stato un gran tormento! Le cose di Dio non sono mai lisce… perché dove entra Lui stravolge le consuetudini umane, ecco perché Gesù diceva: “Chi mi vuol seguire, prenda la sua croce!”. Le vie del Signore, spesso, sono umanamente inconcepibili, non le possiamo capire, dobbiamo solamente fidarci di Lui e lasciarlo lavorare. Per capire in profondità il valore dell’Annunciazione, è bene ritornare al libro della Genesi e comprendere in che cosa consista il peccato originale. In esso, leggiamo che Dio chiese ad Adamo: “Dove sei?” e Adamo rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino, ho avuto paura e mi sono nascosto perché sono nudo”. Era nudo anche prima, ma solo in quel momento si sentì nudo, perché sapeva di avere trasgredito la parola data al Signore. La radice del peccato è questa: lasciarsi ingannare e poi accusare gli altri della propria responsabilità; come facciamo anche noi quando vogliamo scagionarci da qualche colpa commessa e accusiamo gli altri di averci indotto a compierla. Adamo si discolpò dicendo: “È la donna che mi ha ingannato, è lei che mi ha spinto a mangiare il frutto, è il diavolo che ci ha ingannato”… e si sentiva inquieto! Per tanti secoli si è pensato che la mela fosse un peccato sessuale (che perversione nella nostra mente!). Dio aveva creato l’uomo e la donna come persone sessuate e aveva detto loro: “Crescete e moltiplicatevi!”. Dio non ha condannato l’atto sessuale! Il peccato è stato un altro. L’uomo e la donna erano stati creati da Dio per amore e Lui aveva per loro un progetto grande; entrambi gli hanno voltato le spalle scegliendo altre vie. Quando il diavolo disse alla donna: “Se mangi questo frutto, diventerai come Dio”, Eva gli credette e pensò: “Ecco perché Dio mi ha detto di non mangiare di quell’albero” (evidentemente il frutto è solo un simbolo). Quando Adamo volle agire contro il Suo Creatore e non si fidò più della Sua parola, si scoprì nudo: aveva perso la sua sicurezza, la sua innocenza, aveva paura d’incontrarlo e si nascose. Il grande peccato, allora, è quello di agire contro la volontà di Dio. Peccare, indica il movimento della freccia tirata da un arco che non raggiunge il bersaglio ma devia verso un altro luogo. Ecco perché l’andare verso Dio si chiama conversione. È come quando chi guida la macchina sbaglia strada e vuole fare una conversione a “U”: è la stessa strada ma dalla parte opposta. Adamo, allontanandosi dal progetto di Dio, ha scoperto la sua inconsistenza, la sua fragilità, la sua debolezza. Infatti, finché stava in Paradiso e aveva un rapporto bello con Dio, si sentiva sicuro. Una volta rotto il suo rapporto con l’amore del Signore, ha scoperto la fatica e l’insicurezza del vivere da solo. Il suo peccato è stato duplice: quello di andare contro la volontà di Dio e anche quello di averne paura, di non fidarsi più di Lui, di pensare che, a causa del suo sbaglio, non potesse più essere amato e perdonato: è stato un peccato di orgoglio! Questo succede anche a noi! Siamo tutti poveri peccatori e tutti sbagliamo, ma ci è difficile credere nel perdono di Dio, credere nel Suo amore misericordioso che ci salva e ci riconduce a sé. San Giovanni apostolo diceva: “Se il cuore vostro vi rimprovera, sappiate che Dio è più grande del vostro cuore!”. Noi ci facciamo ingannare dalle cose che la nostra società ci offre e, con tanta facilità, mettiamo da parte Dio. Ogni volta che ci allontaniamo dal disegno del Creatore, ecco che in noi riemerge il peccato originale; quando non seguiamo la legge morale che Dio ha scritto nella nostra coscienza, le cose che facciamo c’illudono e deludono. Quanta gente segue illusioni e miraggi! Noi siamo cristiani, la fede nostra è credere in un Dio che è Padre e ci ama. Tolto l’amore di Dio dalla vita cristiana, non rimane più niente. Noi saremo salvati dall’amore di Dio e solo chi crederà in quest’amore sarà redento. Il nostro compito è quello di essere vigilanti, di non farci inquinare, di pregare perché il male, che è sempre in agguato, non ci colpisca.
Quest’anno, a Natale, invece di regali costosi e inutili, vorrei che scriveste una letterina a vostro marito, a vostra moglie, ai vostri figli, ai vostri genitori. Voi mogli, ricordate ai vostri mariti il momento in cui vi siete innamorati, quando vi siete sposati, quando facendo l’amore avete concepito un figlio: ditevi queste cose. Anche se siete diventati anziani e il fisico non è più attraente come prima, ditevi che vi volete bene! Voi mariti, scrivete alle vostre spose che cosa provate nel vostro cuore, ringraziatele per la cura che hanno della casa, per avere allevato i figli, per essere presenti nella vostra vita, non date tutto per scontato, l’amore deve essere sempre alimentato. Voi figli, ringraziate i vostri genitori di avervi fatto crescere sani, dei sacrifici che hanno fatto per farvi studiare, per non farvi mancare niente. Non usate gli auguri prestampati che avete dovuto pagare. Non ci vuole la carta pergamena, basta un foglietto! Non immaginate come le cose scritte con il cuore rimangano stampate per l’intera vita. Allora, fate qualcosa che conta! Scrivete una lettera anche ai figli, soprattutto a quelli che vi fanno soffrire. Diteglielo che nonostante si siano allontanati, gli volete bene. Fate sentire loro il calore della famiglia. Accogliete le nuore, i generi, non vi lamentate sempre, non giudicate: amate… e fatevi i fatti vostri! Vi voglio leggere una bella lettera inviata da un genitore al figlio, forse capirete che cosa significa per un uomo essere padre:
“Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso a insegnartelo. Se quando parlo con te, ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere… ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti fossi addormentato. Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare… ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc. Quando a un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non t’innervosire… la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti, nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che, nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio”.
Se vi alzate prima la mattina, portate il caffè a vostra moglie che è a letto, non pensate che lo debba fare lei perché è donna! Se arrivate a casa e vostra moglie sta facendo un’altra cosa, perché non aprite la lavatrice e stendete i panni? Non tocca alle donne sgobbare dentro casa, sono le vostre compagne, non le vostre schiave! Quando le donne lavorano, tornano a casa stanche e non potete pretendere che ricomincino a lavorare senza un vostro aiuto. Gli uomini tornano a casa e si squartano sulla poltrona perché sono tutti in coma, poi si mettono a guardare la televisione e chiedono: “È pronto da mangiare?”. Se lavorano moglie e marito, vuol dire che moglie e marito devono portare avanti insieme la casa; non è detto che debba stirare per forza la moglie, impari a stirare pure l’uomo! Se volete bene a vostra moglie, le dovete facilitare la vita. Magari mentre lei prepara da mangiare, prendetevi cura dei bambini. Questa è carità. Altrimenti ci perdiamo in tante chiacchiere, in tante formalità, ma se dentro casa non cominciamo a stabilire un rapporto bello, il cuore nostro non gioisce e la casa diventa un inferno. I nostri governanti non tengono conto dell’importanza della famiglia nella società. Dovrebbero farsi la scala dei valori primari e la casa è un diritto per tutti. Tutti devono abitare in una casa dignitosa che esprima la personalità di ognuno, invece in pochi ne hanno la possibilità. Come cristiani, dobbiamo lottare non per guadagnarci il Paradiso (perché il Paradiso non se lo guadagna nessuno, lo regala il Padre Eterno), ma per creare già su questa terra qualcosa di bello. In uno Stato come il nostro, in cui si parla tanto di libertà, la famiglia è dimenticata. Avete mai visto governanti che se ne siano ricordati? Certe povere donne che hanno tre figli devono andare a lavorare per pagare il nido… ma non sarebbe meglio dare loro una sovvenzione perché si curino dei figli? Che cosa più bella c’è di una madre che educa i propri figli? La conseguenza di questa dimenticanza è che lo Stato fa crescere dei cittadini schizzati. Anche Gesù è voluto nascere in una famiglia! Se dissacriamo la famiglia, abbiamo rovinato la società. Ecco perché dico a voi sposi: “Salvate il vostro matrimonio”. Quando nel “Padre nostro” diciamo: “Come in cielo così in terra”, vuol dire che in terra si può vivere il Cielo! Non vi lamentate sempre! Parlate con i vostri figli e, soprattutto, ascoltateli! Vi pentirete di non avere avuto tempo per loro. Qualche volta a casa, lasciate da parte i panni da stirare se vedete che è la serata buona per parlare, sono questi i momenti che valgono una vita. Alle volte, quando siete davanti alla televisione, vostra moglie, vostro marito o vostro figlio vogliono dirvi qualcosa, ma sono zittiti perché si dà più importanza alle sequenze televisive: questo è un grave errore perché non saprete mai quello che voleva dirvi la persona a voi più cara, l’avete freddata! Ecco perché i sentimenti sono dissacrati. Se siamo cristiani, dobbiamo dare valore anche alle piccole cose perché sono queste che rendono bella la vita quotidiana, dobbiamo prenderla in mano e non permettere mai che qualcosa o qualcuno la piloti.
La vigilia di Natale Luca è tornato alla Casa del Padre, aveva solo ventuno anni! Un incidente ha troncato la sua giovane vita e ha spezzato il cuore dei suoi genitori. Luca è la decima gemma del nostro Avvento. La morte è silenzio, un silenzio che rimbomba d’infinito se entriamo nel suo mistero. Sant’Agostino soleva dire che la morte non è niente, è solo il trasferirsi nella stanza accanto. La vita è un dono e Gesù è risorto per ridare vita alla morte. Il problema non è abitare a lungo sulla terra ma risorgere in Cristo! Chi pensa che la vita si fermi dietro una lapide è già morto e non se n’è accorto. Il dono del Cristiano è saper vivere la morte come un momento di speranza. Se siamo stati in sintonia con la vita, lo saremo anche con la morte. Se abbiamo escluso la luce e la verità dai nostri giorni terreni, ossia Dio, continueremo a escludere la vita dalla nostra morte. Per dare una speranza a tutti i cuori spezzati dal dolore della morte, introduco questa gemma con le parole di Sant’Agostino: La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte. È come se fossi nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai dato sempre, che ti è familiare, parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste, continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami, il mio nome sia sempre la parola familiare di prima, pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto, è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza, perché dovrei essere fuori dei tuoi pensieri e della tua mente solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene, ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime, non piangere se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.
I frutti dell’Avvento
I SENTIERI DELL’AMICIZIA
È il 2 di marzo del 2012, il primo venerdì del mese, e ci troviamo nella bellissima cappella del Crocifisso nel santuario di Collevalenza. Siamo qui per iniziare un ritiro spirituale sui sentieri dell’amicizia. È padre Renzo che parla durante la Santa Messa per prepararci ad accogliere la grazia di Dio. La grazia scenderà abbondante nel cuore di tutti per rinfrancarlo e riempirlo di speranza. Il Crocifisso che vediamo è molto particolare, la sua storia c’introduce nel sentiero della misericordia e ce ne fa assaporare il frutto, padre Renzo ce la racconta:
Gesù apparve a madre Speranza e le chiese di fare costruire un crocifisso che avesse l’altezza di un uomo. Gli incontri della Madre con Cristo erano una cosa normale: vivevano insieme, erano due grandi amici! Gesù indicò alla madre, mentre camminava per la strada, il modello che avrebbe dovuto rappresentarlo inchiodato al legno. La madre lo avvicinò e gli chiese se fosse disponibile a posare per lo scultore. Il giovane accettò. Era bello, aitante, assomigliava al Gesù impresso nella sacra Sindone. Alla fine dell’opera, la madre domandò a Gesù di mandarle la somma per pagare il lavoro e… sorpresa… Gesù le disse che quella volta non le avrebbe mandato il denaro come di consueto, perché voleva ricompensare il giovane personalmente: dopo tre giorni se lo portò in Paradiso! Vi è, così, un secondo Santo canonizzato direttamente dal Figlio di Dio… il primo, come tutti sanno, è il così detto “Buon Ladrone”. Stupendo il nostro Gesù che apre il paradiso per ricompensarci delle fatiche e della disponibilità a servire.
Questo racconto apre il nostro ritiro. Molti dei presenti sono rimasti sorpresi nell’udirlo, forse anche i lettori s’interrogheranno. Non è nella consuetudine umana, infatti, pensare alla morte come a un premio, anzi, a volte quando essa arriva all’improvviso e porta via con sé una persona giovane, genera “ribellione” e può addirittura fare perdere la fede. Anche io rimango turbata e non azzardo parole senza senso. Chi, infatti, può dare una risposta a questo mistero? La storia che abbiamo appena ascoltato non è inventata, è documentata e alcuni testimoni della vita di madre Speranza sono ancora vivi. L’unico pensiero che mi viene in mente è quello di scavare nella Parola di Dio. Nel Vangelo Gesù ci ripete: “Tenetevi pronti… io andrò a prepararvi un posto… poi verrò a prendervi!”. Il tono, il luogo, l’occasione in cui disse queste parole non ci fanno pensare a una minaccia ma a una promessa: lui parlava del Paradiso come di un premio inestimabile! Il Paradiso c’è ed è per sempre. La vita ci sarà ridata e non sarà più contaminata da alcun male, sarà una vita felice e appagante. L’amore vissuto in terra non andrà perduto ma continuerà a farci brillare gli occhi quando saremo approdati alla meta. È tutta una questione di fede, è tutto un percorso d’amore… è il mistero di Dio! Vorrei andare un po’ più in là: forse il posto che il Signore prepara per noi nel suo Regno, ha la sua radice sulla terra, quel “posto” Dio lo comincia a predisporre nel momento della nostra nascita, è un sentiero da percorrere, a volte pianeggiante a volte accidentato, con bivi da imboccare, scelte da fare, prove da sopportare, gioie da vivere, dolori da condividere con Lui. Una cosa è certa: in questo cammino non saremo lasciati soli perché è lui stesso che si propone di accompagnarci come nostro amico. La voce dall’altare continua a parlare e ci fa meditare sulla semplicità e praticità del Vangelo, sulla grande misericordia del Signore che ci dà sempre la possibilità di ricominciare qualsiasi cosa accada… anche se cadiamo nel peccato più ripugnante. Tutti capiamo che la persona non rimane sempre uguale, che c’è una trasfigurazione da attraversare, che noi non siamo quelli che eravamo fino a ieri, ma quelli che siamo nel momento presente e che il giudizio non ci appartiene perché appartiene a Dio. È facile, allora, liberarci dai sentimenti di rancore che ci levano la pace e uccidono l’anima, viene spontaneo decidere di cambiare rotta e scusare il comportamento altrui come ha fatto Gesù, infatti, non possiamo sapere perché il cuore dell’altro si è indurito al punto da non sapere assaporare la misericordia di Dio. Il termine “amicizia” è stato inflazionato, oggi lo usiamo per descrivere la nostra relazione con un conoscente che gode della nostra simpatia, per un collega che collabora con noi, per una persona che c’incensa, che riempie di piacere il nostro orgoglio facendoci apprezzare per quelli che non siamo ma che vorremmo essere! Lo stesso avviene per il termine “amore”. Non si possono usare questi due termini con banalità, è necessario, invece, capirne la grandezza e la profondità. Dobbiamo cominciare a comprendere che l’amicizia non esiste ma esiste l’amico; che il rapporto d’amore appartiene alla fantasia se non lo indirizziamo alla persona amata con i suoi difetti e i suoi pregi, così come non esiste la malattia ma esiste il malato! Se non abbiamo chiaro il concetto d’amicizia avremo sempre delle grandi delusioni perché il tradimento di chi consideriamo amico può traumatizzarci. I conoscenti possono aiutarci a vivere meglio se sono cordiali e amabili, con loro si può costruire un rapporto “amichevole” e passare con loro delle belle serate, andare alla partita, al cinema, a un concerto, sono dei compagni d’avventura con cui parlare, scambiare opinioni, fare un viaggio o anche discutere animatamente. Se ci delude il conoscente, diventa un conoscente in meno, la nostra vita non cambia, ci aiuterà solo a sapere valutare meglio le persone. Se noi riuscissimo a dare il giusto nome alle cose e ai rapporti, penso che saremmo più liberi e più veri. Quando Gesù dice: “Costruite la casa sulla roccia”, la roccia non è solo la sua Parola (il Vangelo), la roccia è pure la nostra personalità. Anche nell’uso del termine “amore” c’è tanta banalità, una cosa è l’attrazione fisica, un’altra è l’amore. Tutti sperimentiamo quanto sia difficile incontrare il vero amore perché quello che noi chiamiamo amore è, tal volta, solo innamoramento, infatuazione, qualche altra volta è una fuga dalle problematiche che viviamo. Molte persone, per la voglia di scappare da casa, si sposano e cadono dalla padella nella brace vivendo delle situazioni disastrose. Non si può sperare che ogni persona che incontriamo diventi il grande amore; l’amore non nasce dalla volontà o da un nostro progetto, esso nasce dal cuore e non è possibile programmarlo. Ricordiamoci che ogni volta che incontriamo qualcuno, incontriamo una persona con tutti i suoi difetti, i suoi problemi, le sue frustrazioni, i suoi peccati. La persona perfetta non esiste! Certe problematiche ce le portiamo dietro dalla fanciullezza; forse abbiamo dimenticato da che cosa sono nate, però, ne subiamo le conseguenze. Vi ho già spiegato il perché tutti abbiamo le cosiddette antipatie naturali; nell’inconscio esse ci ricordano qualcuno che da bambini ci ha spaventato. Ricordo che una volta, da bambino, un conoscente mi disse che mi cercavano i carabinieri perché avevo appiccato il fuoco alla fontana! A quei tempi la guardia comunale era il terrore del paese, quando arrivava, scappavamo tutti! Anche se dare fuoco a una fontana non è possibile, nell’ingenuità di un bambino quell’accusa spaventa. Esistono delle persone il cui solo tono di voce ci disturba. Allora, non è peccato avere queste antipatie, il peccato sarebbe sfruttarle per fare loro del male. Tanti ragazzi che s’innamorano (perché ci siamo tutti innamorati, almeno idealmente) vengono da me e mi confidano: “Stasera esco per la prima volta con una ragazza che mi piace!”. Io dico loro: “Figlio benedetto, ricordati che oggi vedrai il massimo! Perché una ragazza che t’incontra per la prima volta si cosparge di profumo, si mette il vestito più bello, si trucca, anzi si restaura. Dietro questo c’è tutta un’altra realtà che dovrai scoprire”. I rapporti intimi tra fidanzatini nascono con troppa facilità e spesso nella menzogna. Ognuno racconta all’altro un mare di bugie su se stesso per apparire diverso da quello che realmente è. Ognuno inventa una favola bella sulla propria personalità e, a volte, essa è narrata così bene che finisce per convincerne anche il narratore. Come si fa a costruire un rapporto sulla menzogna? Perché dentro di noi c’è tanta insoddisfazione? Perché questa nausea della vita o dei rapporti? Il motivo è che non siamo riusciti a tirare fuori la bellezza che abbiamo dentro. In noi c’è la nostalgia di qualcosa che appartiene al mistero della creazione e che non riusciamo a riconoscere perché siamo sempre protesi verso le cose del mondo e abbiamo dimenticato che apparteniamo al Cielo… sono anche le vicende della vita che deviano i nostri pensieri, ingolfano i nostri sentimenti e ci rendono inquieti… però, se cominciassimo a prendere dello spazio per noi e a guardarci meglio, scopriremmo una quantità di cose belle che non abbiamo mai avuto il tempo di tirare fuori! Tante volte, purtroppo, noi cresciamo condizionati dalle miserie del mondo. In questi giorni mi sono più volte domandato perché le persone non riescono a essere amiche tra loro e perché si fanno tanto male a vicenda. Ci sarà qualche cosa che dentro di noi distorce il senso della vita! Tutti vorremmo essere felici, la maggior parte delle cose che facciamo crediamo di farle a fin di bene e, allora, perché feriscono chi ci è vicino? Mi sono domandato ancora perché con tanta facilità parliamo male l’uno dell’altro e perché manchiamo di misericordia. La risposta che mi sento di dare è che, forse, quando parliamo male di qualcuno non ci rendiamo conto che stiamo innescando un meccanismo ingovernabile e perverso, perché ognuno aggiunge qualcosa a quello che gli è stato detto e si arriva alla vera e propria diffamazione, trovandoci così in grandissime difficoltà. La maldicenza è un grande peccato, alcune persone sono arrivate al suicidio perché diffamate. È un po’ la storia del pollo spennato che San Filippo Neri raccontava per fare capire che le parole “mal - dette” sono come le piume di un pollo spennato lasciate volare nell’aria: non si sa dove andranno a depositarsi. Diceva un Santo che i difetti che vediamo negli altri, spesso, sono attaccati alla retina dell’occhio nostro: se siamo pessimisti, vediamo tutto nero; se abbiamo avuto esperienze sbagliate, pensiamo che tutti sbaglino… dice bene il proverbio: “Chi male fa, male pensa”. La felicità è una scelta e noi abbiamo l’obbligo di essere felici, ma non tutti ne sono capaci, chi è pessimista, spesso, rimane vittima della sua negatività. Lo stesso avvenimento, infatti, ha una valenza diversa secondo il carattere delle persone: Il pessimista comincia da ciò che manca. L’ottimista da ciò che c’è. Il pessimista la sera dice: “Adesso comincia a far buio”. L’ottimista: “Adesso comincio a vedere le stelle”. Il pessimista descrive l’oscurità che lo circonda. L’ottimista accende la luce. Il pessimista, in un paese di scalzi, dice: “Nessuna possibilità di vendere scarpe, nessuno le porta”. L’ottimista: “Ecco mille possibilità! Nessuno ha le scarpe!”. Il pessimista dice: “Domani è lunedì!”. L’ottimista: “Oggi è domenica!”. Il pessimista vede passare la storia. L’ottimista la costruisce. Il pessimista è uno che non si sente mai troppo bene quando sta bene, perché teme di sentirsi peggio quando sta meglio. Il pessimista vede le difficoltà in ogni opportunità. L’ottimista vede opportunità in ogni difficoltà. La realtà è sempre la stessa: scegliamo cosa vedere e ciò che vediamo diventeremo! Non affliggiamoci per dei mali immaginari sapendo che dobbiamo incontrare quelli veri! Se oggigiorno è tanto difficile fare nascere delle amicizie o anche solo dei rapporti cordiali, è anche perché ormai vediamo negli altri solo degli antagonisti e ne abbiamo paura! Nel collega vediamo il nemico che vuole sottrarci alla stima dei superori e c’impedisce di fare carriera; nel parente l’ipocrita che s’immischia nei nostri affari per interessi personali; nel passante chi ci vuole scippare. La società del benessere ci ha resi diffidenti ed egoisti. Allora, torniamo a chiederci chi è il vero amico e, soprattutto, cos’è l’amico per noi e che cosa ci aspettiamo da lui. L’amico è la persona che ci dà la capacità di essere noi stessi perché sa tutto di noi e continua a volerci bene. Sapere tutto dell’altro, a volte, ci traumatizza perché ognuno ha dentro di sé dei peccati, dei vizi che fanno orrore, dobbiamo accettare l’altro per quello che è se veramente lo vogliamo aiutare. La vera amicizia è la realtà più bella e più concreta della vita, è l’amore più puro che esista sulla terra, più puro, più profondo e appagante anche del matrimonio! Sembra strano… ma è così. Ve lo dico per esperienza perché quando vengono a parlare con me alcuni mariti o delle mogli, io chiedo loro se le cose che dicono a me, le raccontano anche al loro compagno di vita e sempre mi rispondono: “Ma che sono matto, padre!”. Vuol dire che nel vostro matrimonio non c’è amicizia, che nel vostro amore c’è tanta diffidenza e lontananza! Pensate a quanto sarebbe bello se il rapporto con il coniuge fosse, oltre che un rapporto d’amore, anche di amicizia, sarebbe il massimo! Sarebbe un paradiso! Ripensate a quando vi siete innamorati, vi sentivate amici, vi confidavate tutto, eravate un’anima sola, che cosa è successo poi? Se tra gli sposi non c’è un rapporto d’amicizia, di complicità, di spontaneità, che cosa rimane del matrimonio? La casa diventa un albergo, a volte una prigione, a volte un inferno. Stamattina vi ho spiegato che cos’è l’amicizia perché volevo arrivare, questo pomeriggio, a farvi capire e vivere l’amicizia con Gesù! Infatti, la sua amicizia è possibile per tutti, non è una cosa riservata solo ai santi. Se leggete il Vangelo, è impossibile non meravigliarvi del modo stupendo con cui Gesù ha vissuto l’amicizia. Betania è chiamata la casa dell’amicizia perché è il luogo nel quale abitavano i grandi amici di Gesù: Lazzaro, Maria e Marta. Egli si fermava spesso a casa loro per riposare e godere del loro affetto. L’amicizia di Gesù per Lazzaro è stata così forte da indurlo a riportarlo in vita. Ridare la vita a un amico è dunque possibile attraverso l’amore, ed è possibile anche per noi, senza pretendere di risuscitarne il corpo, risuscitare l’anima, la fede e la speranza di un amico. Gesù, dunque, nonostante fosse il Figlio di Dio, aveva dei rapporti d’amicizia con tante persone, anche con donne, la Maddalena ne è un esempio. I suoi amici vivevano con lui un rapporto semplice, normalissimo, perché nessuno si rendeva conto che fosse il Figlio di Dio. Noi, nel 2012, possiamo vivere lo stesso rapporto bello, umano, di amicizia con Gesù. Vi dirò, allora, alcune cose che vi faranno capire come possiamo vivere l’amicizia con Gesù, perché spero che partiate da qui, non solo avendo sperimentato la Misericordia di Dio, ma anche con la certezza di avere un amico in più, forse quello più importante, quello che dà significato alla nostra vita! In una frase del Vangelo di Giovanni, proprio prima di andare a morire Gesù dice ai suoi discepoli: “Non vi chiamo più servi ma vi chiamo amici” e l’amicizia diventa il suo testamento. È stupendo pensare che per testamento scritto “noi siamo per sempre gli eredi del cielo e gli amici del Signore”. Nell’amicizia del Signore è racchiuso l’amore più grande, ce l’ha detto Lui. A volte non ci basta una vita per incontrare il vero amore e siamo stati fatti oggetto dell’amore d’amicizia del Signore! Sappiamo che parlare di Dio è parlare dell’amore e che “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio”. Anche questo è testo evangelico. Per questo motivo è tanto difficile incontrare l’amore, esso, infatti, è un sentimento più grande di noi. Forse, però, cominciare a entrare nel concetto che Dio si è rivelato come amore, non è tanto difficile, basterebbe meditare attentamente sulla parola di Gesù. La responsabilità della nostra diffidenza è da attribuire anche ad una presentazione di un Dio che spaventa da parte della Chiesa. È vero che nell’Antico Testamento l’occhio di Dio terrorizzava, guardava per ogni dove, sembrava spiare ogni nostra mossa, ma Gesù è venuto a svelarci il vero volto di Dio, ci ha detto che Dio ci vuole bene, che ci accetta per quelli che siamo, che cerca i peccatori! Invece per anni e anni siamo stati terrorizzati da un potere che voleva dominarci. Il risultato è stato che la gente si è stancata e si è allontanata da Dio. Quando si ha paura di qualcuno, ne prendiamo le distanze. Un'altra responsabilità, forse peggiore, è da attribuire ai religiosi: sacerdoti e suore. Le persone andavano in cerca di chi fosse capace di comprendere le loro difficoltà, chi fosse capace d’amare e di portare pace, invece spesso trovavano in loro persone frustrate che separavano da Dio, perché Dio non lo vedevano, lo temevano, non lo amavano. Dio si manifesta tramite gli incontri che facciamo e i consacrati che incontravamo seminavano la morte e non la vita. Questo bagaglio gravoso ha pesato su di noi per anni. Quindi, certi traumi che abbiamo avuto, certe paure, dobbiamo lasciarle nel dimenticatoio. Portiamoci dalla realtà di Collevalenza un Dio che ci ama, che si è fatto ammazzare per noi, che ci ha chiamato amici.
(...) L’amicizia è il sole che illumina le persone, allora perché abbiamo timore di Dio? Gesù dice: “Io non vi chiamo più servi”. Mettiamocelo bene in testa che è proibito andare in Chiesa da servi, pregare nelle nostre case e fare atti religiosi come servitori. Dio non l’accetta. Pregare non è né un dovere né un obbligo. Dio non vuole un rapporto da servitori, l’ha detto lui: “Io non vi chiamo servi, vi chiamo amici”. Questa relazione servile con Dio, da quando è venuto Gesù, non ha più ragione di esistere. Purificate perciò il vostro cuore, se andate in Chiesa è perché dovete sentire la gioia di andarvi. Non si diventa religiosi per fare i servi di Dio (se con la parola “servi” intendiamo colui che è costretto a fare le cose per qualcun altro) ma per essere suoi amici! È il momento delle risonanze. In molti accorrono, con il cuore che batte forte, a parlare accanto al pastore. Dal tono della loro voce traspare l’emozione. Non è facile parlare davanti a centottanta persone! Eppure, il desiderio di dare un contributo personale all’assemblea è tanto forte da fare vincere la timidezza. Le testimonianze di oggi sono tutte belle, tutte profonde ed edificanti. Scelgo quelle delle persone giovani perché è commovente assistere a una vita cambiata dall’amicizia del Signore che si presenta come amico e rivoluziona il cuore di un uomo o di una donna ancora in giovane età. Da quel momento, infatti, nel mondo ci saranno testimoni audaci che, come tanti “Giovanni”, l’amico prediletto di Gesù, saranno i seminatori robusti dell’amore di Cristo e i testimoni spavaldi del Vangelo.
Testimonianza di GiusyChe bello, sembra di stare in conferenza stampa! Mi presento per chi ancora non mi conoscesse, io mi chiamo Giusy. “L’amicizia” è il tema. Io ho due date importanti da ricordare. Una è il primo ottobre 2007. In questa data ho preso servizio a Roma in una struttura. Il sogno di una vita, quello di trovare un lavoro a tempo indeterminato, si era realizzato. In questa struttura ho conosciuto una persona che è qui presente. I primi tempi: “Ciao”, “Ciao”: eravamo solo colleghe. Io ero in un periodo molto particolare della mia vita: un tempo di solitudine arida, di tristezza, di angoscia; questa persona ha avuto la capacità, la delicatezza e anche la riservatezza di starmi vicino senza soffocarmi. Ci siamo trovate, quindi, tra un caffè e l’altro, a parlare di cose quotidiane. Evidentemente la mia ricerca, la ricerca di Dio, la ricerca del divino, partiva da molto prima: dai miei anni giovanili, dagli anni in cui avevo lasciato la mia terra, dagli anni in cui giravo senza mai trovare meta. Questa persona, che è Patrizia, mi diceva sempre: “Accidenti Giù, sei proprio rivoluzionaria!”. In effetti, io parlavo sempre di dover reagire, dicevo che la ricerca è anche reazione, che non dobbiamo sprecare il nostro tempo nella tristezza e piangerci addosso. Un giorno, che ricordo bene mi disse: “Io ti devo far conoscere una persona che ti assomiglia”. “Va bene, chi è?” le chiesi. Risposta: “Frate Renzo”. “E chi è frate Renzo?”… Tra l’altro, io ero molto prevenuta nei confronti della Chiesa: un anticlericalismo, non tanto sottile, forse abbastanza pronunciato, mi accompagnava. “Bene, risposi, vedremo…”. Successe che in quel percorso, in quei mesi, forse un anno da quando avevamo parlato, io andai a finire nello sprofondo più nero che benedico ogni giorno perché mi ha fatto ritrovare uno spiraglio di luce. Una domenica, era il 13 giugno 2010, lei mi portò a San Sebastiano. Io arrivai là con i miei mille dubbi... “Ci sei Dio o non ci sei? E se ci sei, perché è così?”… e le mie mille paure… osservavo la comunità riunita in quella Chiesa, guardavo tutti, questi abbracci, questi sorrisi, e pensavo tra me e me: “È possibile che l’unica a questo mondo che ha il problema di ricerca sono io?”; perché sembravano tutti così felici… nello sprofondo in cui ero caduta sentivo che la stanchezza, l’angoscia, ormai avevano preso il sopravvento. Arrivò il momento della Comunione. Mi misi in fila, perché io volevo conoscere e, passo dopo passo, mi avvicinavo a Gesù… quarant’anni di ricerca… lo cercavo ma non lo sentivo. Puoi leggere libri di filosofia… puoi leggere tutto quello che ti pare, puoi anche meditare, ma quando lo cerchi e non ti risponde ti angoscia. Mi sono messa in fila e mi guardavo intorno. A metà della fila, improvvisamente, non vidi più nessuno, né davanti, né accanto. Niente! Vidi questo frate, lui, che mi aspettava... ed io arrivai là stanca, disfatta, ero quasi alla fine e piangevo. Lo guardai negli occhi, padre Renzo guardò i miei occhi e, prima di darmi l’Ostia, mi diede una carezza sulla guancia. Ecco, in quel momento non era più frate Renzo, in quel momento era Gesù che, dopo quarant’anni di ricerca, mi diceva: “Hai visto che ci sono sempre stato? Ero sempre qui e adesso ti abbraccio”. Probabilmente, io non ho mai rivelato a Patrizia il mio affetto per lei… con Patrizia non ci sentiamo spesso, non ci vediamo nemmeno spesso, tuttavia Patrizia è una parte importante della mia vita. Patrizia, con padre Renzo e Federico, il mio compagno, sono le tre persone che sanno veramente tutto di me, i miei errori e i miei orrori. Quegli orrori che mi hanno portato, oggi, a essere quella che sono, che mi hanno portato a fare un percorso, per cui ritengo che anche quelli siano una parte importante della mia esistenza.
(...)
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