

di
Maria Teresa Lo
Bianco Barbera

La terza
edizione del dono esce nel giugno del 2013 e riporta nuovi episodi
rispetto all'edizione precedente. Nel percorrere il cammino di fede
dell'autrice i lettori potranno sperimentare la gioia cristiana di un
cammino di fede donato da Dio a tutti i suoi figli e predisporsi ad
aprire il loro cuore alla Grazia che è sempre a portata di mano per chi
Lo ama.
Padre Renzo dice
sempre: "E' impossibile amare Dio che non si vede, lasciamoci amare da
Lui che ci cerca instancabilmente e incontriamolo nel fratello". Questo
è il percorso spirituale che l'autrice propone a tutti, abbandonando gli
scrupoli e gettandosi nella braccia di Cristo spalancate per ognuno di
noi.
Riportiamo
alcuni brani salienti di questa nuova edizione.
Ricordiamo che
per ricevere il volume basta contattare l'autrice via e.mail

Prefazione
dell’autrice in occasione della
terza edizione de “Il Dono”
Nel consegnare ai lettori la terza edizione de “Il Dono”, faccio
giungere a tutti il mio saluto e narro com’è nato questo libro.
Ho iniziato a scriverlo nel 2002 per volere di padre Renzo.
Prima di lasciare il convento di San Pietro in Montorio (Roma), di cui
era guardiano, frate Renzo mi chiamò e mi disse: “Mamma, devo chiederti
un favore”. Io mi feci attenta e gli risposi che qualsiasi cosa mi
avesse chiesto, per me sarebbe stata una gioia attuarla. Così lui
continuò: “Vorrei che tu scrivessi la testimonianza del tuo incontro con
Gesù e del nostro camminare insieme”.
La sua richiesta mi sorprese, io non avevo mai scritto un libro e
pensavo di non esserne all’altezza; non volevo, però, negare a frate
Renzo ciò che mi chiedeva e pensai che non mi avrebbe mai fatto una
richiesta se non mi avesse reputato capace di realizzarla e gli risposi:
“Posso provarci, solo che se devo mettere per scritto tutte le emozioni,
le grazie, le gioie, le esperienze che il Signore mi ha concesso
attraverso te, dovrei scrivere un libro”.
“Scrivilo allora - mi rispose”. Mi sorrise e mi accomiatò.
Io entrai in crisi, da dove iniziare? A chi dovevo indirizzare il mio
scritto? Quale ne era lo scopo? Sarei stata capace di entrare nella mia
anima e metterla a nudo in modo che tutti vi leggessero dentro? E la mia
privacy? Ebbi la possibilità di parlarne con frate Renzo quando, dovendo
lasciare San Pietro in Montorio per la nuova sede di Guidonia, con la
semplicità e la naturalezza di un figlio, mi chiese di trasferirsi a
casa nostra per esplicare le ultime consegne del convento. Mi disse che
sarebbe stato un dono di Dio e avrebbe fatto tanto bene.
Mi misi a scrivere durante le vacanze estive, ero in Sicilia a
villeggiare e passavo tante ore al computer. Quando scrivevo, mi
sembrava che la mia persona fosse trasportata in un’altra dimensione.
Scrivevo e scrivevo senza stancarmi mai, poi rileggevo le frasi sul
monitor e mi domandavo chi le avesse scritte perché non potevo credere
di esserne l’autrice. Il Signore mi stava trasmettendo un Suo talento in
risposta alla mia pressante richiesta di poterlo servire, di farmi Suo
strumento.
Alla fine delle vacanze, il mio libro era ultimato; l’avevo scritto in
un solo mese.
Tornata a Roma, ne stampai una copia, andai a Guidonia, dove padre Renzo
aveva ormai preso dimora, e gli consegnai il faldone rilegato alla
buona. Il mio compito sembrava terminato.
Dopo alcuni giorni, mi arrivò la telefonata di padre Renzo che,
commosso, mi ringraziava di quello che avevo scritto dicendo che non
avrebbe mai immaginato di ricevere un dono così prezioso. Ne parlò a
tutta la comunità, ne parlò dall’ambone, ormai la curiosità di tutti si
era messa in movimento e, come conseguenza, arrivò la richiesta finale:
dovevo consentirgli di renderlo pubblico.
Io entrai in crisi nuovamente, pensavo che quella testimonianza fosse
diretta ai fratelli consacrati e non ai laici che, forse, mi avrebbero
guardato con curiosità e questo era contrario alla mia natura riservata.
Ogni conversione passa attraverso crisi, sono i gradini che si devono
salire per annullarsi nel Signore.
Dissi a padre Renzo che non potevo acconsentire alla sua richiesta,
c’era la mia anima là dentro, non mi sentivo pronta a condividerla con
il mondo. Io gliene avevo fatto dono, ma doveva rimanere un dono
“nascosto”.
Un giorno, padre Renzo in un’omelia mi mandò l’illuminazione che
attendevo. Disse che i doni che il Signore ci dà non sono per noi, che i
talenti che abbiamo ricevuto dobbiamo metterli a frutto per il bene
degli altri, che nulla ci appartiene e che, se non condividiamo ciò che
il Signore ci fa provare, non abbiamo compreso la Parola del Vangelo.
Siamo tutti missionari, continuò, e la missione di ognuno è di lodare
Dio e farlo conoscere al mondo gridando il Suo nome dai tetti delle
case.
Mi piacque l’idea di salire sui tetti delle case e cominciare a urlare
il mio grazie a Gesù! Lo sentivo così forte e importante dentro di me
che urlare il Suo nome dai tetti riempiva la mia vita di senso. Così,
telefonai a Renzo e gli diedi il mio assenso.
“Il Dono” apparve nella sua prima edizione con una copertina rossa. Le
persone richiedevano il mio libro con sempre maggiore insistenza e,
siccome la pubblicazione era curata da una copisteria, le copie
costavano troppo e cominciammo a pensare a una nuova edizione a larga
tiratura tipografica.
Passarono gli anni e arrivammo al 2006, l’anno del mio incidente che
poteva essere mortale.
Uscita dall’ospedale, padre Renzo venne a farmi visita e mi trovò in
carrozzella al computer mentre stavo portando avanti la seconda edizione
di questo libro. Gliela esposi e lui s’illuminò. Gli dissi che ne avrei
aumentate le pagine aggiungendovi gli avvenimenti degli ultimi anni di
cammino fatto insieme a lui, compreso l’evento del mio incidente. Fu
così che nacque la seconda edizione de “Il Dono”.
La nuova edizione è andata a ruba. È uscita dal recinto della nostra
Comunità e ha raggiunto molte città d’Italia volando anche all’estero.
Ha portato a Dio tante anime ed è un mistero come il Signore se ne sia
servito per intenerire i cuori più duri, per portare la pace e la
serenità in chi è confuso e turbato, per dare risposta ai perché di
tanti figli suoi.
Ora, le numerose copie della seconda edizione sono terminate e, con
grande gioia, consegno ai miei lettori la terza edizione.
In questa terza edizione sono stati aggiunti molti altri capitoli perché
il cammino con padre Renzo è continuato e ha fatto maturare nuovi frutti
nel giardino di Dio. [...]

Il profumo della Terra Santa
Non conto più i viaggi fatti nella Terra del Signore perché sono davvero
tanti. Ormai quella terra benedetta è diventata la mia terra, ne conosco
tutti gli angoli più significativi e, nel cuore, ne porto il profumo. È
un profumo tutto spirituale proveniente dal suo lago che sfoggia la sua
tavolozza di colori delicati quando lo attraverso con il battello; è un
profumo sprigionato dal terreno ricoperto di fiori del monte delle
Beatitudini; un profumo che sale dai rilievi color dell’ocra della
Galilea, dal fiume Giordano che nasce spumeggiante dalle incredibili
cascate del monte Hermon, entra nel lago di Tiberiade, scorre giallo e
stanco nella depressione di El Gohr e s’addormenta nel mar Morto salato.
In questo fiume, Gesù fu battezzato e noi ne ripetiamo il rito in ogni
nostro pellegrinaggio.
Ogni viaggio trasmette ai partecipanti delle emozioni nuove, tutto
sembra cambiare pur rimanendo lo stesso. Padre Renzo ci accompagna con
la sua commozione profonda, silenziosa e piena di risonanze perché
poggiare i piedi sulle orme del Signore riempie l’anima di pace e dona
al corpo un’energia misteriosa e forte che risana.
I
viaggi più belli sono stati guidati da Antonio. Descrivere la figura di
Antonio non è facile, senza di lui il viaggio perde fascino perché lui
ci fa entrare nel cuore del Vangelo, fa parlare i sassi, ci trasporta
nei giorni del Signore e ce lo fa toccare. Si dice che i Vangeli siano
cinque e non quattro perché il quinto è un libro spalancato sulle strade
percorse da Gesù nella sua terra che, per questo, noi cristiani
chiamiamo Terra Santa. Antonio quel libro ce l’illustra e lo
rende vivo, palpabile, umano e divino nello stesso tempo.
Nel mio cuore, questa terra ha impresso delle emozioni profonde che
hanno reso la mia fede un’avventura appassionante, sempre nuova, piena
di effetti speciali e incontri personali con il gran Maestro,
Signore e Amore della mia nuova vita a cui ho consacrato il cuore.
Non posso più scordare le adorazioni notturne nel Getzemani tra le
piante d’ulivo secolari accarezzate dai raggi della luna piena. Là,
uniti in preghiera davanti a un altare di marmo bianco sul quale viene
poggiato un semplice e povero ostensorio con il Corpo di Cristo, abbiamo
raggiunto quella pace che solo il Paradiso può donare. In quel giardino,
in una sera sospesa tra la terra e il cielo, mi è sembrato che il tempo
si fosse fermato ed io avessi superato il confine che divide “il
finito” del mondo con “l’infinito” di Dio.
Tra le emozioni che affiorano più vive al mio ricordo, vi sono quelle
suscitate dalle Sante Messe celebrate da padre Renzo nel deserto di
Giuda. In quella terra desolata che cambia continuamente toni di colore,
bruciata impietosamente dal sole, Cristo passò quaranta giorni e fu
tentato.
Noi abbiamo percorso a piedi alcuni suoi sentieri, scoperto i monasteri
scavati nella roccia, incontrato gli abitanti beduini che conservano
vive le tradizioni di una vita essenziale, fatta di piccole cose e di
grandi insegnamenti. Non c’è nulla di più grandioso del silenzio di
questi luoghi santi, niente di più innalzante di una preghiera condivisa
e indirizzata a Dio da questo Suo tempio aperto alle intemperie del
clima del deserto.
Sotto la guida preziosa di Antonio, ci siamo arrampicati sulle pietre
dissestate di quel suolo portando con noi una semplice valigia su cui
costruire un umilissimo altare per la celebrazione della Santa Messa. Lo
abbiamo apparecchiato con una coperta appena comprata e abbiamo
apprestato una patena e un calice, forgiati dalla povera ceramica
locale, che sembravano fatti apposta per contenere il Corpo amato del
Signore.
Ricordo il sapore del pane azzimo consacrato dalle mani del nostro
pastore, spezzato per noi e distribuito mentre il sole rosso tramontava
e tingeva del color del sangue il suolo del deserto; ricordo le nostre
mani congiunte in preghiera per invocare il Padre Nostro, i nostri
abbracci allo scambio di pace, i canti innalzati che rompevano il
silenzio di quei luoghi incantati per fare arrivare a Dio la nostra
lode.
Il ricordo più bello di quel luogo è legato al viaggio effettuato
nell’ottobre del 2012.
Si era formato un gruppo particolare, le persone si erano legate
spiritualmente e, pur conoscendosi da poco, sembravano condividere le
emozioni di quel luogo come se avessero un cuore solo.
Ci eravamo arrampicati su una piccola altura dove vi era una rudimentale
gradinata che, a semicerchio, abbracciava una piazzuola levigata dalle
mani dell’uomo. Quel luogo non è sempre disponibile perché molte guide
lo conoscono e vi portano i pellegrini per la celebrazione della Messa.
Quella sera, al tramonto, era libero per noi.
Quando arrivammo, trovammo una famiglia beduina che aveva esposto su un
piccolo tavolo alcuni oggetti fatti dalle loro mani: collanine, anelli,
fazzoletti, tovaglie, pietre intagliate e altre povere cose. Il capo
famiglia era un uomo anziano, alto, asciutto, con il viso buono,
l’espressione intelligente e lo sguardo altero. Si vedeva che era
un’autorità dal modo deferente con cui i suoi giovani familiari lo
guardavano.
Ci apprestammo a preparare il nostro piccolo altare sulla valigia
trasportata. Con nostro grande stupore, quell’uomo intervenne e, senza
dire parola, ci offrì il suo tavolino, prese un fazzoletto nuovo
fiammante che serviva al suo povero commercio e lo distese su quel
tavolo, poi, non contento del suo gesto d’ospitalità, raccolse dei cespi
incolori che spuntavano tra le pietre e li legò alle gambe del tavolo:
per noi furono i più bei fiori ricevuti nel corso della vita. Non
avevamo parole per ringraziarlo. Padre Renzo prese la sua mano, la tenne
stretta tra le sue per qualche momento e gli mandò un sorriso.
La Santa Messa cominciò e quell’uomo, in segno di rispetto, si andò a
sedere silenzioso su una pietra che fungeva da muretto e che separava
quella piazzuola da un salto di qualche metro nel deserto sottostante.
Io lo guardai con attenzione: non aveva un braccio! [...]

I Figli in Cielo
Padre Renzo si fa carico del dolore altrui. Lo sente così forte che
spesso lo travolge e gli impedisce di dormire. Per lui il dolore è
palpabile, come un lamento dell’anima, un respiro pesante e agitato che
lo interpella e lo fa stare male. La sua preghiera per chi soffre
accompagna le sue notti e, quando celebra la Santa Messa, la consegna a
Cristo nell’Eucaristia.
Tra i figli che il Signore ha messo e continua a mettere sulla sua
strada, i prediletti sono i genitori che hanno perso un figlio. La
perdita di un figlio è quanto di più terribile possano vivere un uomo e
una donna perché una vita donata con tanto amore e gioia, quando viene
spenta, spegne anche il cuore di chi l’ha procreata. È il dolore di
Maria, la Mamma di Gesù, che Renzo ama di un sentimento dolcissimo e
profondo.
Per condividere questo dolore con i genitori, per stare loro vicino, per
infondere nel loro cuore la speranza della Resurrezione, ogni mese,
l’ultimo venerdì alle ventuno, padre Renzo celebra una Santa Messa e
invita alla funzione tutte le persone che hanno bisogno della carezza
del Signore. Questa iniziativa, cominciata a San Pietro in Montorio,
proseguita a Guidonia, ora continua a San Sebastiano a Roma.
Al principio, le persone che vi partecipavano erano poche, era quasi una
funzione di famiglia, adesso il numero dei figli partiti per il Paradiso
è diventato enorme e i genitori accorrono per vivere insieme una serata
di speranza.
Molti dei genitori che partecipano alle funzioni arrivano per un tam-tam
che le persone fanno, altre sono invece coinvolte da padre Renzo stesso
che si reca nei luoghi di dolore per portare il suo conforto e
riaccendere la vita in chi vuole rinunciarvi.
Le omelie che frate Renzo pronunzia in queste occasioni sono sentite,
dirette e gioiose, sì, gioiose, perché Renzo sa trasformare il dolore in
speranza e fare sbocciare anche il sorriso in chi ha solo lacrime da
versare. All’inizio della funzione, tutti accendono un lumino, è la luce
degli angeli che si sono trasferiti in cielo. Ha scritto sopra un foglio
i nomi di tutti i figli già approdati in paradiso e li legge durante la
Messa, domanda ai genitori e a chi è presente di alzare la voce in
preghiere spontanee per fare uscire dal cuore le richieste, anche
rabbiose, di chi si chiede “perché”. Renzo dice che la rabbia è una
preghiera che Dio accoglie e conserva nel Suo cuore. Alla fine della
celebrazione, tutti insieme recitiamo una preghiera a Maria perché
lenisca il dolore.
Questa Santa Messa, ora, è frequentata anche da persone che vogliono
stare vicino a chi soffre, condividere la loro pena e pregare con loro.
Il desiderio di Renzo è quello di unire la gente perché possa parlare,
perché nascano delle amicizie, perché, nel conforto reciproco, ognuno
possa esternare in libertà i suoi sentimenti senza timore di rimanere
incompreso.
Un giorno, padre Renzo mi chiese di costruire una pagina sul nostro sito
internet per i Figli in Cielo. Da diverso tempo io, infatti, tengo il
sito della nostra comunità come web master. Questa richiesta mi ha
commosso e ho meditato tanto per costruire qualcosa di significativo, di
luminoso e di gioioso che desse conforto a chi vi entra e facesse
sorgere il bisogno di lasciare una preghiera in un firmamento speciale.
In Terra Santa avevo trovato, nel negozietto attiguo alla grotta del
Padre Nostro, un’immaginetta che mi aveva colpito tanto: vi era Gesù
crocefisso con un’espressione di estrema dolcezza nel viso, accanto a
lui vi era un tavolo su cui si allungava un bambino in punta di piedi,
era proteso verso Gesù e, con la manina, gli accarezzava i capelli e
cercava di donargli un bacio. Ricordava l’episodio di Marcellino che si
prendeva cura di Gesù. L’acquistai e la tenni nel cassetto per diversi
anni.
Mi ricordai di quell’immaginetta e, con la fantasia, pensai a un
firmamento in cui si sentissero le voci dei bambini e apparissero i loro
nomi sotto forma di comete in moto verso quell’immagine. Non era facile
realizzare graficamente questo progetto, valutai i due punti centrali:
dovevano essere il bambino felice che Gesù attraeva con la sua energia e
il firmamento luminoso. Avrei potuto mettervi delle stelle scintillanti,
ma la gioia doveva venire dalla terra, essere più vera, più colorata… in
fondo si trattava di un trasferimento dalla terra al cielo, di una
trasfigurazione, così decisi di mettervi dei fiori pieni di colori.
Qualcuno si stupì e
mi chiese perché avevo messo in cielo i fiori e non le stelle, io
risposi così: “Credo di avere trovato il motivo che mi ha ispirato i
fiori da far sbocciare in un cielo stellato. Le stelle nel cielo le ha
messe il Signore, sono lì fin dalla creazione per ricordarci che quando
tramonta il sole il firmamento è, comunque, pieno della Sua luce; ma i
figli sono nati in terra dove i colori dipinti dal sole sono belli,
luminosi, sempre nuovi, ognuno con la sua diversità: sono appunto dei
fiori! Alcuni sono stati spezzati ancora in boccio, alcuni quando si
erano aperti da poco, alcuni nel fulgore dei loro anni, ma sono rimasti
fiori con la loro fragranza. Si sono spostati in cielo e, sospinti da
una cometa, si avvicinano all'immagine di Gesù per dargli un bacio, poi
si raccolgono nuovamente nel loro fiore per uscirne ancora e ancora in
una danza eterna. È la terra che si trasferisce in cielo per farlo bello
e fare piovere su di noi le grazie che possono essere immaginate come
polvere di stelle che viaggia su petali di fiore”.
[...]

Il pettirosso
Padre Renzo ha un modo tutto speciale di parlarci di Dio: ce lo fa
toccare! Infatti, oltre a spiegarci la Sua Parola, la inserisce nel
nostro e nel suo quotidiano. In questa maniera, Essa non rimane qualcosa
“dai tetti in su”, ma diventa qualcosa in cui ognuno si può
rispecchiare, uno strumento d’amore prima che di fede, un esempio da
seguire nelle circostanze della nostra vita. È per questo che ognuno
trova nelle catechesi di Renzo la risposta ai suoi perché ed esclama:
“Queste parole sono dette per me!”.
Spesso, le persone lo vogliono incontrare per sottoporgli un problema
che sembra loro irrisolvibile, ma alla fine di un ritiro o di una
semplice omelia hanno già avuto la risposta e ritrovano la pace.
Eravamo a un ritiro ad Assisi, credo quello sull’Eucaristia. Renzo
parlava delle difficoltà dell’uomo a seguire il Signore, parlava della
fede che, a volte, si scontra con la nostra quotidianità e ci sembra che
la lampada si spenga… e noi roviniamo nel buio! A un tratto, assunse
quell’aria distaccata e commossa che lo trasforma quando vuole farci
giungere un messaggio speciale e ci disse che quel buio, in cui tante
volte noi cadiamo, lui lo conosce bene perché ha visitato spesso la sua
vocazione.
C’è chi pensa che i sacerdoti siano sempre illuminati dalla lampada di
Dio ed abbiano una strada preferenziale, invece sono solo uomini e, come
tutti gli uomini, devono faticare per acchiappare Dio.
Ci facemmo attenti e lui ci raccontò di un suo periodo di grande buio.
Era entrato in crisi profonda e gli sembrava di perdere del tempo, si
stava convincendo che non era fatto per la vocazione che aveva accolto,
che non riusciva a migliorare nonostante s’impegnasse a fondo. Dopo
giorni e giorni di sofferenza, aveva deciso di lasciare l’abito e di
tornare alla vita laicale. Tutto questo lavorio interiore lo aveva però
stremato e si sentiva abbandonato.
Era inverno e aveva nevicato. Anche gli alberi erano innevati. Lui
camminava nella campagna con il capo basso e il silenzio accompagnava i
suoi passi che lasciavano la loro orma sulla neve. A un certo punto,
chiuse gli occhi, s’inginocchiò sotto un albero in preghiera e sentì
dentro l’anima uno strappo. Rimase a lungo in quella posizione e pianse.
Quando aprì gli occhi, si accorse che accanto a lui vi era una zolla di
terra senza neve, da essa spuntavano delle umili violette. Le guardò con
stupore, non era la stagione delle viole! Alzò lo sguardo al cielo per
chiedere al Signore che segno fosse quello e il suo sguardo si fissò su
un ramo basso dell’albero spoglio, sotto il quale si era rifugiato. Lì,
ritto sulle sue gracili zampette, vi era un pettirosso che cominciò a
cantare. Nel centro del petto la macchia rossa ricopriva il suo cuore e
risaltava nel biancore della neve. Gli sembrò l’immagine della vita che
riprende, risorge tenue, gracile ma viva, palpitante. Il Signore lo
aveva illuminato, gli aveva mandato un segno delicato e lo esortava a
continuare: la Sua misericordia lo avvolgeva e lo aveva abbracciato!
Alla fine di questo racconto Renzo si commosse e noi con lui. Ci disse
che sulla sua tomba avrebbe voluto un tappeto di violette in ricordo di
quell’abbraccio con cui Dio lo aveva riscaldato e che al posto del suo
nome voleva scritto: “Dono della misericordia di Dio”.
Passarono diversi mesi e una sera mi recai con un po’ di anticipo alla
Santa Messa serale del primo martedì, erano quasi le ventuno. Quando
entrai, la Chiesa era ancora in penombra e non c’era nessuno. Cominciai
ad avviarmi nella corsia laterale per raggiungere il banco in cui di
solito siedo: davanti a me, sul marmo lucido, vi era un pettirosso che
saltellava sulle sue zampette. Faceva dei saltelli delicati, lenti,
sembrava avesse una meta, era diretto verso l’altare maggiore. Io mi
ricordai dell’episodio che Renzo ci aveva raccontato e rallentai il mio
passo, lo seguii in punta di piedi per non spaventarlo. Il pettirosso
continuò il suo percorso, sembrava di casa, salì a saltelli i gradini
che lo separavano dall’altare, arrivò all’altare, lo aggirò e si fermò.
Io avevo continuato a seguirlo, volevo essere sicura che fosse un
pettirosso, volevo individuarne la macchia rossa sopra il cuore. Quando
fui a pochi centimetri di distanza, lui spiccò un leggero volo e si
nascose in una pianta bassa dietro l’altare, lo avevo di fronte e potevo
guardarlo negli occhi e ammirare sul suo petto le belle piume scarlatte.
[...]

Il perdono
Le mie preghiere erano state esaudite e ora il Signore aspettava il mio
ringraziamento non con le parole ma secondo la Sua Parola,
secondo il Suo esempio, secondo il Suo insegnamento evangelico.
Aspettava, insomma, che chiudessi con il dolore passato e vivessi il
presente con la pace nel cuore, dopo avere perdonato chi mi aveva fatto
soffrire.
Noi siamo umani e Lui lo sa, ma sa anche che siamo chiamati a diventare
esseri divini perché tali ci ha creato e siamo destinati alla
santità, cioè a diventare tanti Lui, i suoi figli amati, fratelli
dell’Unigenito che si è fatto uomo per ricondurci alla realtà del Regno
Celeste. Il perdono è la strada stretta che ci conduce a questa realtà.
Essa, però, è ostruita dal nostro risentimento, dal nostro rancore,
dalla nostra superbia e dalla certezza che il proprio “Io” è più
importante dell’amore.
Per attraversare la strada del perdono, ci vuole tempo, molto tempo! Ci
vuole preghiera, molta preghiera! Ci vuole fede, molta fede! Dobbiamo,
soprattutto, guardarci dentro, visitare le nostre ferite, riviverle
nella fede, presentarle a Cristo e compararle alle Sue!
Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa, dice un vecchio e saggio
proverbio, quindi, senza pietà, dobbiamo valutare il danno che ci è
stato inferto e capire quanto e come sia necessario cambiare per
ritrovare la pace. È sbagliato cercare di dimenticare, cercare di
minimizzare quel che abbiamo sofferto, cercare di pensare ad altro. Se
non lasciamo che la nostra mente valuti il nostro rancore, che i
nostri occhi lo riconoscano, che il nostro cuore lo soppesi e, con fede,
lo metta nella misericordia del Signore, non riusciremo mai a diventare
quelle nuove creature che Gesù attende di riprendere per mano per
portarle verso la santificazione.
Il tempo passava e il mio turbamento interiore aumentava. Un giorno,
padre Renzo disse dall’ambone che solo Dio dimentica il male ricevuto;
che solo Dio aspetta con le braccia aperte chi lo ha tradito e ha
sperperato le grazie ricevute con una vita dissoluta e lontana da Lui. A
noi non è chiesto di dimenticare il male che ci è stato fatto, anzi, il
suo ricordo è essenziale perché solo così possiamo usarlo come
trampolino di lancio per vincerlo con il bene, per affidarlo a Dio e
dirgli: “Aiutami Signore, io sono limitato e tu conosci i miei limiti,
io non riesco a perdonare, affido a te il mio rancore, indicami la
strada per ritrovare la pace, pensaci tu”. Dopo questa umile preghiera,
dobbiamo pregare per chi ci ha colpito, solo la preghiera per l’altro e
l’abbandono in Dio potranno guarire la nostra ferita.
Renzo ci diceva, inoltre, che il nostro cambiamento interiore non
dipende dal nostro intelletto ma dal nostro cuore, non si arriva a Dio
con la nostra mente e con i nostri propositi, ma si risponde al suo:
“vieni e seguimi” con l’amore e l’abbandono alla Sua volontà. Ci
consigliava la lettura di un libro che lui aveva divorato e che gli
aveva fatto tanto bene, perché anche lui era stato vittima di questo
problema.
Io comprai il libro, s’intitola “L’evangelizzazione del profondo” e la
sua autrice è Simone Pacot. Lo lessi tutto di un fiato e mi accorsi che
il mio problema era condiviso da un numero enorme di persone, che era il
problema dei problemi, che io ero assolutamente nella norma se soffrivo
tanto, se non riuscivo a “perdonare nel profondo dell’anima”. Questo mi
consolò e mi aprì le porte per conoscere me stessa, riconoscere le mie
ferite, prenderle in mano e consegnarle a Dio! Riporto il punto saliente
del brano che mi ha guarito:
La Resurrezione non è l’oblio della passione, Cristo è risorto con le
sue stigmate. Non è possibile dimenticare un evento che ci ha fatto
male. Il ricordo dipende dalla memoria, il perdono dipende dal cuore: il
perdono ci riconcilia con il passato e convive con il ricordo ma
quest’ultimo non ci fa più male!
Fu così che ritrovai la pace, fu così che il Signore mi fece salire un
altro gradino di quella scala di luce che lui pone davanti a ogni
persona e che rende percorribile se gli diamo la mano.
Il “Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra” si aprì alla
mia comprensione e mi riempì di speranza e di conforto. Capii che il
Cielo si costruisce in terra, che le gioie divine si possono cominciare
a vivere quaggiù, che la volontà di Dio è la via dell’amore, che l’amore
di Dio è per tutti, che il rancore è il frutto di un giudizio, che chi
sbaglia può essere scusato, perché Gesù sulla croce disse:
“Perdonali Padre perché non sanno quello che fanno!”.
Dopo questo passo importante del mio cammino di fede, ho cominciato ad
allargare gli orizzonti della mia interiorità. Ormai, ero stata
completamente liberata dal male che rallentava il mio percorso ed ero
diventata più sensibile al rispetto e all’accoglienza del fratello.
Un giorno, padre Renzo ci parlò della bellezza della nostra anima e di
come essa aneli alla purezza. Questa parola io non l’avevo mai capita
fino in fondo, non avevo mai recepito la grandezza della beatitudine che
chiama Beati i puri di cuore e attribuisce loro il Regno dei
Cieli. Ci disse che man mano che ci avviciniamo a Dio, sentiamo
l’esigenza di purificarci e rendere sempre più accogliente il luogo dove
lo Spirito di Dio ha fissato la sua dimora: siamo Tempio dello Spirito
Santo e per Lui e con Lui dobbiamo vivere e camminare!
Per farci capire meglio cosa voleva dire, ci parlò della luce che lo
Spirito proietta sulla nostra coscienza: se la luce manca non ci
accorgiamo dei nostri difetti e delle nostre mancanze, se si accende un
fiammifero cominciamo a vedere le ragnatele, se si accende una lampada
anche il pulviscolo appare ai nostri occhi, se poi la luce diventa un
faro appare tutto quello che non è a posto e che dobbiamo rivisitare.
Lo Spirito aveva acceso un faro nella mia coscienza, ma non per attivare
in me rimorsi o sensi di colpa, perché quando è Dio che parla, la pace
accompagna sempre la Sua voce. Mi abbandonai alla meditazione e chiesi
di essere illuminata.
Passò molto tempo prima che riuscissi a comprendere fino in fondo il
vero significato di purificazione e, quando lo scoprii, tutto in
me divenne più chiaro e percorribile. Capii cosa sono i peccati di
omissione e come essi siano il principale ostacolo alla
santificazione. Noi non li confessiamo mai, nella nostra vita non li
abbiamo mai considerati, non pesano sulla nostra coscienza, almeno che
qualcuno non vi abbia acceso un faro. Padre Renzo ce ne parla sempre e
noi chiudiamo le nostre orecchie e facciamo finta di esserne esenti.
Omettere
significa “non fare”, tralasciare, trascurare (anche con intenzione)
perché pesante e scomodo, perché potrebbe farci soffrire o per una
visione sbagliata della nostra fede basata più sulla sofferenza che
sull’amore. Compresi le parole di Renzo che nelle sue catechesi ci
ripete: “Un cristiano non è colui che non fa il male, troppo
facile! Un vero cristiano è colui che opera il bene!”. È vero! Se
vogliamo fare sintesi delle nostre omissioni possiamo dire che
queste sono racchiuse in un solo peccato: quello di avere omesso
l’amore.
[...]

Il mio Padre nostro
Un giorno, mentre ero in macchina e stavo andando verso Fregene, mi
colse un desiderio forte di pregare. Al volante della mia vettura c’era
mio marito ed io ero in silenzio, distante e un po’ turbata.
Nella famiglia, spesso, vi sono dei problemi, spesso la nostra pace è
compromessa da avvenimenti dolorosi e solo la preghiera e la comunione
profonda con il Signore ci possono dare la forza di continuare ad
alimentare la speranza e ritornare in pace.
Iniziai a recitare il Padre nostro. Mi fermavo a ogni parola e ci
pregavo sopra. Questo modo nuovo di colloquiare con Dio attraverso la
preghiera, meditandola e recitandola con fede, mi piacque e decisi di
farla durare per tutto il tempo del viaggio. Quando giunsi a Fregene, mi
accorsi che il mio Padre Nostro era durato mezz’ora e mi aveva dato
tanta pace. Per non perderne l’effetto presi subito un foglio e vi
scrissi quello che avevo detto al Signore. Lo rilessi e qui lo
trascrivo:
PADRE NOSTRO
Padre mio, padre tuo, padre di tutti! Padre di chi mi ama e di chi mi
tormenta, di chi vive nella miseria e nell’agiatezza, del malato e del
sano, dell’intelligente e del sotto dotato, del down e
dell’handicappato, del violento e del mite, del drogato e del beato.
Padre di Gesù Cristo che me lo fa fratello.
CHE SEI NEI CIELI
Nei cieli di tutte le città che sono ricche o povere, nei cieli di tutte
le nazioni dell’ovest e dell’est, del nord e del sud, nei cieli del
deserto e dei boschi incantati, delle montagne alte e immacolate e delle
paludi malsane e dimenticate, nei cieli che s’innalzano sulla volta
stellata e vanno oltre il limite di ciò che è rivelato.
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME
Santificato con la vita e con il pensiero, con il lavoro e con il
riposo, nella preghiera e nel divertimento, nella famiglia e nella
società, nella chiesa cristiana e nella sinagoga, nella moschea e nel
tempio di qualsiasi credo, santificato nel cuore e nell’atto d’amore,
nello sguardo felice oppure addolorato, nella parola gentile che ci
unisce a te.
VENGA IL TUO REGNO
Venga il Regno del tuo amore, della gioia e della carità; venga il Regno
che ci dà il sorriso; il Regno che ci fa volare in Paradiso; Il Regno
dove tutto è nuovo perché impera la parola del Tuo Cristo; il Regno dove
il Tuo Vangelo è urlato nel vento della vita e il suo alito ne diventa
motore. Il Regno che c’illumina e che ci dà conforto, che azzittisce la
guerra e, nella pace, ci conduce a te.
SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
La Tua e non la mia, sii Tu la guida ed io ti seguirò, conducimi per
mano senza più pensieri né timori, senza più scrupoli o ripensamenti,
affidata a te come un bambino che si addormenta sul seno della mamma. La
Tua e non la mia volontà anche quando mi costa caro, quando devo
soffrire e rinunziare a qualcosa che penso sia importante.
COME IN CIELO COSÌ IN TERRA
Il cielo e la terra sono uniti in Te, chi è in cielo già ti vede, già
gode del tuo sguardo, chi è in terra possa, attraverso la tua volontà,
sperimentare la vita dell’amore, vagare per i tuoi orizzonti, cogliervi
il bene che ci riscalda il cuore e la pace che acquieta la coscienza, lo
slancio verso gli altri che ti fa commuovere e fa della terra un cielo e
del cielo un posto sulla terra.
DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
Oggi e non domani, ora, proprio in questo istante e non più tardi: dacci
il pane della vita, il Corpo divino del Signore che alimenta di Sé tutte
le cose, che riempie di dolcezza la mia bocca, che penetra nella linfa
del mio sangue e mi fa ostensorio della Sua persona. Il pane che mi
nutre di quello che è essenziale, che mi permette di gioire e di
lavorare, di correre felice e di pregare. Che mi mostra il bene nella
mia giornata e mi prepara ogni giorno per ricominciare.
RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
Perdona tutti i miei peccati mio Signore! Tutte le offese verso l’amore
che hai per me. Perdona di averti desiderato troppo poco, di non avere
creduto nella tua parola, di non averti riconosciuto in chi mi passa
accanto, di non averti saziato dalla fame, di non averti offerto l’acqua
che acquieta la tua sete, di avere pensato solo a me. Perdona l’orgoglio
che mi fa sicuro, perdona la mia mancanza d’umiltà.
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI
Sicura nel tuo abbraccio non ho più rancori, sorrido a chi mi ha offeso,
a chi mi ha attirato nell’inganno, a chi ha sparlato della mia persona,
a chi si è servito di me per il suo vantaggio, a chi nel vizio ha
rovinato la mia vita, a chi mi ha aperto le braccia per buttarmi giù!
E
NON C’INDURRE IN TENTAZIONI
Padre, preservami dalle tentazioni, tieni lontano ciò che è male dalla
mia giornata, togli i falsi idoli dalla vita mia, allontana i desideri
che levano la pace e il rancore che distrugge la serenità, frena la
corsa della fantasia se è motivo di pena per la mia coscienza, non darmi
il gusto di gestire il potere, fammi godere di ciò che piace a te.
MA LIBERACI DAL MALE
Io sono figlio
tuo, tu me lo hai detto, tieni lontano il male dalla tua creatura,
liberami dalle mire del maligno. Non lasciarmi la mano, tieni sotto
controllo la mia libertà. Sii per me una Madre o Padre Santo, abbi cura
di chi tu hai messo al mondo, non recidere mai il cordone che mi affilia
a te.
AMEN.
Tornata a Roma, volli mandarlo tramite e.mail a padre Renzo. Lui non mi
rispose subito, fece passare due settimane e poi mi telefonò. Mi disse
che il Padre nostro da me sussurrato a Dio lo aveva commosso e mi chiese
il permesso di farlo conoscere a tutti attraverso un foglietto da
distribuire. Io acconsentii, gli rimandai la copia in un formato
pieghevole e non ne firmai il testo perché desideravo che ognuno lo
facesse proprio e lo recitasse con lo stesso amore con cui mi era stato
ispirato.
Padre Renzo era a Guidonia in quel periodo e, un martedì sera, quando
arrivò il momento del Padre Nostro nella santa Messa, disse che lo
avrebbe recitato attraverso una preghiera che qualcuno della comunità
gli aveva inviato e che, poi, l’avrebbe distribuito a tutti in un
foglietto.
Con commozione, sentii recitare il mio Padre Nostro dalla voce del mio
pastore mentre tutti si prendevano per mano.
Padre Renzo ci stupisce sempre con i gesti che nascono dal suo cuore e
arrivano al cuore di tutti. [...]

Lo Spirito Santo
Il primo di marzo
del 2013, ci siamo riuniti a Collevalenza per un ritiro spirituale dal
titolo “Lo Spirito Santo - esplosione di Dio nella nostra vita”. Eravamo
arrivati alla XVI tappa del nostro cammino di fede.
Al ritiro hanno
partecipato oltre duecento persone e lo Spirito di Dio ci ha avvolto e
ha alitato su di noi la leggerezza del suo soffio divino.
Voglio riportare
alcune parti toccanti della catechesi di padre Renzo che ha illuminato i
cuori dei partecipanti fino al punto d’accendere in loro il desiderio di
aprire la parte più riposta della loro persona e rilasciare
testimonianze profonde sulla loro vita. Esse sono rimaste esempi
tangibili di come Dio, Uno e Trino, se lo facciamo entrare nella nostra
storia, si fa presenza viva, ci guida e ci porta per mano all’incontro
finale con Lui.
“Pochi cristiani sanno che lo Spirito Santo è una Persona reale e divina
e, quindi, pochi hanno una comunione profonda, intima, gioiosa con Lui.
Vivono la loro vita senza di Lui, non ricorrono al suo aiuto, non
ricevono la sua unzione e la sua potenza. Egli è, allora, come un grande
dono che noi abbiamo ricevuto e tenuto nel cassetto senza mai aprirne il
pacchettino.
Se noi, invece, lo
conosciamo, se noi lo accogliamo, Egli ci fa fare un'esperienza di sé
così intensa e personale che ci trasforma la vita, ci manda sprazzi di
felicità per dirci: “Guarda, io ci sono anche se hai dei problemi, non
ti lascio solo!”.
Per conoscerlo,
però, lo dobbiamo invitare perché Lui rimane nascosto e vuole essere
cercato, trovato, amato!
Per avere con Lui
una corsia preferenziale, una scorciatoia diretta e immediata, è
essenziale fare entrare Gesù nel nostro cuore. Lo Spirito Santo,
infatti, è l’Amore che unisce in maniera indissolubile il Padre con il
Figlio e, nel farci partecipe di quest’amore, lo irradia nella nostra
persona per darle vita, forza, consolazione, speranza, carità e
trasformarci nel loro stesso Amore!
Egli è una persona
reale che può sentire, percepire, rispondere: ha gli stessi sentimenti
nostri; è una persona potente ma anche delicata, è gentile e immenso ma
anche desideroso di tenerezza e, come un bambino, vuole stare vicino a
coloro che Lo amano. Egli è l’energia che Dio manda nella nostra vita
perché ci fortifichi e cambi il nostro cuore. In poche parole, lo
Spirito Santo è la grande, infinita riserva dell’Amore di Dio nella
quale il Padre e il Figlio si uniscono e generano la bellezza di tutta
la creazione.
Appena iniziamo a
conoscere lo Spirito Santo, diventiamo sensibili alla Sua presenza e
cominciamo a conoscere ciò che Lo rende triste e ciò che Gli fa piacere,
quello che preferisce e quello che non preferisce. Se la relazione con
Lui, poi, diventa personale e quotidiana, Egli guida la nostra vita e
c’infiamma dell’amore per Gesù, ci fa comprendere che Cristo è morto per
dare a ogni uomo una vita di continua resurrezione, per fasciare i cuori
affranti, per sanare le ferite, per guarire gli ammalati, per dare luce
a coloro che sono nelle tenebre.
L’opera principale
dello Spirito Santo è quella di trasformare nell’immagine di Cristo la
persona che crede, fino al punto da farle dire con san Paolo: “Non sono
più io che vivo ma Cristo vive in me”.
Mossi dal fuoco
dello Spirito Santo, gli apostoli percorsero tutta la terra e, come
loro, chi è pieno di Spirito Santo si mette all’opera e lavora
instancabilmente perché Dio sia sempre più conosciuto, amato e servito;
perché tutti siano contenti su questa terra e felici nella patria del
Cielo.
Ogni azione della
nostra vita riflette ciò di cui siamo pieni. Se riempiamo la nostra vita
di giornali, parleremo di notizie. Se guardiamo le telenovelas,
parleremo di favole inventate. Se siamo pieni di cose inutili, parleremo
d’inutilità. Ma se siamo ripieni dello Spirito, c’immergeremo nella Sua
presenza, cercheremo Gesù e glorificheremo soltanto Lui.
Lo Spirito Santo
non va rattristato perché la Bibbia dice che tutti i peccati saranno
perdonati meno quelli commessi verso di Lui. Lo Spirito Santo può
essere rattristato dal nostro disinteresse verso Dio, dal nostro
sentirci tanto importanti da “fare di noi stessi degli déi”.
Egli vuole essere
sempre in comunione con noi, una comunione profonda fatta
d’amicizia, di colloquio, di confidenza. Vuole ascoltare la nostra voce
che Lui chiama “preghiera” e ci risponde con la Sua voce che noi
sentiamo attraverso la pace dell’anima. Egli ci vuole liberi, liberi dai
sensi di colpa, liberi d’esprimere la bellezza che abbiamo dentro,
liberi di conoscere noi stessi e volerci bene. Lui si rattrista se ci
disprezziamo, perché Dio ci ama per quello che siamo e, se andiamo bene
a Dio, dobbiamo andare bene anche a noi stessi.
Se abbiamo questa
comunione con lo Spirito, abbiamo una chiave d'oro per aprire le porte
del cielo, abbiamo un amico personale che non ci delude mai, che ci
aiuta a parlare con il Padre nel nome di Gesù e fa in noi meraviglie.
Tuttavia, dobbiamo ricordare che non dobbiamo essere noi a
servirci dello Spirito Santo, ma lasciare che lo Spirito Santo si serva
di noi.
Tra i numerosi
“doni” che Egli ci elargisce il primo è quello di renderci capaci di
capire la Parola di Dio: la Bibbia, infatti, è stata scritta dallo
Spirito Santo che si è servito delle mani dell’uomo per rivelare
ai figli di Dio l’amore del Padre e del Figlio.
Un secondo dono
è
quello
di
unire
le
persone:
quando due persone
si recano in chiesa per il matrimonio, entrano due persone, poi, sul
loro sacramento scende lo Spirito Santo e le fa diventare una carne
sola, un cuor solo e un’anima sola. Quando in una casa ci si riunisce
per pregare, ci sono tante persone con caratteri diversi, scende lo
Spirito Santo e le fa diventare un cuore solo. Quando le persone
litigano, se pregano, scende lo Spirito e fa nascere nei loro cuori
sentimenti di perdono e di pace.
Un altro suo dono
grande è l’amore per noi stessi: Egli ci fa provare comprensione verso
di noi, ci fa accettare i nostri sbagli senza condannarci e, con
dolcezza, ci fa ritornare sulla via dell’amore perché per amare gli
altri, dobbiamo cominciare ad avere misericordia di noi stessi.
Cosa dire poi del
dono della felicità? Lui è il gran Maestro, dispensatore dell’amore di
Dio che ci ha creato per essere felici. Sì, lo Spirito di Dio ci vuole
felici, sorridenti, aperti alla vita, immersi nella bellezza della sua
creazione, riscaldati dalla cordialità fraterna e grandi innamorati del
Signore.
Il dono più grande,
però, è quello di chiamarci figli di Dio e farci sentire che lo siamo
realmente!”.
Dopo le parole di
padre Renzo, qui solo sintetizzate, in tutti i presenti è nata la
consapevolezza di non essere mai soli. Il nostro sguardo si è illuminato
e il sorriso è tornato a distendere il volto di ciascuno.
Quelle che ho
scritto rimarrebbero soltanto parole che incidono nel cuore al momento
dell’ascolto e, poi, vengono cancellate dal ritorno al quotidiano se…
non fosse successo qualcosa di grandioso!
Lo Spirito Santo,
se invocato, scatena un uragano di grazie, s’impossessa del cuore dei
suoi amici e cambia il percorso della vita. Noi tutti siamo stati
coperti dalla Sua ombra che pesava sulle nostre spalle con un tocco
leggero, ci apriva il cuore alla gioia e ci faceva parlare e commuovere.
Così, in molti sono accorsi accanto al pastore e, davanti al
microfono, hanno aperto il cuore lasciando ai partecipanti le loro
incredibili testimonianze.
[...]

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