Un Mistero per Amico

di
Maria Teresa Lo Bianco Barbera

 

per ascoltare le parole di padre Renzo pronunziate nella cerimonia di presentazione del volume cliccare sulla copertina

Questo libro non è stato scritto per i sapienti, né per coloro che desiderano ampliare la loro erudizione con proposte teologiche e filosofiche. È un libro semplice, scritto per quei poveri di spirito tanto amati da Gesù, quei piccoli a cui Dio ha svelato il Suo cuore. Si è voluta narrare la storia di un grande amore consumato sulla terra perché - come dice l’apostolo Giovanni - Dio è amore e dove c’è l’amore, là, c’è Dio.
San Giovanni Apostolo verso la fine del suo Vangelo dice: […] Ci sono ancora molti altri segni miracolosi che Gesù fece davanti ai suoi discepoli e che non sono stati scritti in questo libro. Le sue parole mi invitano a pensare che la comunione di Gesù con i suoi discepoli non si è limitata ai fatti narrati dai Vangeli, ma si è articolata in una vita piena, umana, ricolma di passioni e arricchita dalle sfumature che accompagnano la quotidianità di ogni persona che intraprende un cammino di fede seguendo il suo Pastore e si muove in una comunità che condivide le esperienze, le recepisce in maniera diversa e a volte conflittuale.
Un mistero per Amico vuole dare voce a questa umanità e tratteggia la figura travagliata di San Giovanni descrivendone i sentimenti che lo hanno accompagnato nel suo cammino difficile al seguito di Gesù.

L'autrice ha fatto dono di questa opera alla ONLUS "Il Sogno ONLUS", perché la usi a vantaggio dei bambini svantaggiati della Casetta Lauretana.
Si riportano appresso alcuni brani tratti dal libro.

 

 [...] <<Ho sentito i suoi occhi posarsi su di me - comincia con voce sommessa e un po’ turbata - ho sollevato i miei ed ho incontrato uno sguardo che rapiva l’anima. Sono rimasto immobile, il respiro si era bloccato nel mio petto, una strana gioia aveva cancellato ogni pensiero e non capivo più dove fossi e dove stessi andando.
Mi sono messo dietro a lui e l’ho seguito. Abbiamo camminato a lungo immersi nel silenzio, sentivo una gran pace dentro di me e avevo timore di rompere con le mie parole l’incanto che vivevo.

Dopo quasi un miglio di strada, lui si è voltato e rivolgendosi a me e al mio compagno ha chiesto: ‘Che cercate?’.

La mia voce tremava per la soggezione, avrei voluto iniziare una conversazione, dirgli le cose che avevo udite su di lui e che mi avevano stupito, toccarlo per capire se era fatto di carne come noi e invece risposi solamente: ’Dove abiti Maestro?’ e lui con un sorriso che gli ha illuminato il volto: ‘Vieni e vedrai - ha risposto’.
Sono rimasto muto fino alla sua casa: era una povera capanna addossata ad un cavo della roccia. Lì ho avuto timore, ho tentennato un poco e poi gli ho fatto la domanda che aveva occupato la mia mente lungo tutto il cammino, gli ho chiesto: ‘Chi sei?’. Lui, trapassando il mio sguardo con il suo, mi è entrato nell’anima e mi ha detto: ‘Sono l’amico che cercavi, mi hai trovato finalmente, non temere, entra nella mia casa, se vuoi sarà la tua per sempre, puoi condividerla con me!’.
Sono entrato, mi ha invitato a sedere sulla stuoia e mi ha offerto da bere. Io ho preso la ciotola del vino tra le mani ed ho bevuto, ho calmato la mia sete e gli ho sorriso; poi ho alzato il capo e l’ho guardato in viso: lui mi fissava. Non posso dire che espressione avessero i suoi occhi, non avevo mai incontrato uno sguardo così: mi accarezzavano con una dolcezza che faceva male, mi penetravano con una forza che mi rendeva muto, mi legavano a sé come per magia.

Il mio viso era diventato rosso, non riuscivo a parlare. Mi si è accostato piano, si è messo in ginocchio davanti a me e si è seduto sulle gambe ripiegate: ‘Amico, non temere - mi ha detto - mi chiamo Gesù, vengo da Nazaret, appartengo alla famiglia di Giuseppe e mia madre è Maryam, ma la mia casa non è di questo mondo, sono venuto per mostrarvi la via che conduce al Padre mio che sta nel Cielo. I Suoi angeli mi hanno accompagnato ed il Cielo è rimasto aperto per permettere alle grazie di Yahvè di continuare a piovere copiose su di me; sono colui che attendevate, sono l’Emmanuele, il Dio con voi! Parlami tu, dimmi cosa cercavi, aprimi il cuore’.

 

[...] <<Tu non capisci Giacomo, io gli ho parlato, sono rimasto con lui sino a sera inoltrata e mi ha cambiato. È diverso da tutti, ti seduce. Non so come spiegarlo, è umano ed è divino, è gentile e mite, i suoi occhi entrano nell’anima e la mettono a nudo. Ha lo sguardo di un Dio che brucia i tuoi pensieri e ti scruta in cuore, davanti a lui si diventa un niente, blocca la volontà con una occhiata, si appropria della mente, sbroglia la matassa dei pensieri e ti ricrea come piaci a lui, diventa desiderio di seguirlo, di guardarlo e non ti sazia mai. Quando lo vedo, persino le gambe sono incapaci di sostenere il corpo, le mie ginocchia tremano e si flettono e, se mi guarda, io prendo fuoco come un roveto ardente, brucio, ma nel bruciare mi ricarico di vita e non mi spengo più. Conoscilo Giacomo, guarda i suoi occhi, apri il tuo cuore al suo sorriso e allora capirai... ecco che ci osserva, non te ne andare, si avvicina a noi!>>.
[...] Gesù si sta avvicinando, ha capito che i due fratelli stanno parlando di lui e vuole intervenire con il suo carisma.
Ha un portamento altero Gesù, è snello e alto più della media. I suoi capelli ondulati sono scuri con dei riflessi ramati che li ravvivano e li fanno brillare al sole, li porta legati dietro il collo, ma qualche ciuffo scappa dalla presa e gli incornicia il volto. I suoi occhi sono luminosi, hanno il colore dorato delle foglie d’autunno e piccole pagliuzze verdi guizzano nell’iride cerchiata d’azzurro. Ha il naso diritto, leggermente rivolto verso l’alto all’altezza delle narici che si gonfiano quando si commuove. La fronte è ampia, un po’ bombata, solcata da due rughe leggere. La sua barba tagliata corta, soffice e rossastra, contrasta un poco con il colore più scuro dei capelli. Le spalle larghe si protendono in avanti come due ali pronte ad accogliere la gente. Le sue gambe, agili e scattanti, mostrano i polpacci muscolosi di chi è abituato ad arrampicarsi sulle rocce e camminare a piedi. Le braccia sono forti e le sue mani, ruvide e callose, portano i segni di un lavoro duro. La voce è armoniosa, nasce dal petto e vi risuona con un tono largo da tenore, attira chi l’ascolta ed è difficile da dimenticare. <<Buon giorno per tutto il giorno, amici, - dice scherzoso - vi osservavo e ringraziavo Dio mentre danzavo. Perché queste facce tese? Perché rimanete in disparte a parlottare? Oggi è giorno di festa, si apprestano le nozze, lo sposo è in mezzo a voi e non ballate? La gioia che viviamo è un dono e non cantate? Prendiamoci per mano, inizia il tempo di una unione che genera la vita. Avete mai pensato con che amore la madre accoglie un figlio e lo presenta al padre? Avete mai ascoltate le frasi appassionate di chi si stringe al cuore il frutto dell’amore? Oggi si apre il Cielo e tutto il Paradiso partecipa alle nozze in nome di Yahvè>>.


[...] Maria interrompe il suo parlare, si concentra un poco, guarda lontano fissando con lo sguardo la linea d’orizzonte, poi, come se un ricordo le fosse tornato in mente, sorride al sentimento ritrovato e lo comunica a Giovanni: <<Una cosa forse posso testimoniare, ricordo un particolare: al momento in cui Gesù è venuto al mondo ho provato un tremito strano, prolungato ed una letizia così forte da rendermi stordita per un poco. Avevo la sensazione che Dio Padre fosse vicino a me, mi guardasse beato ed attendesse trepidante il primo vagito di Suo figlio che, già tranquillo, succhiava felice dal mio seno. È allora che ho avvertito qualcosa bagnare leggermente la mia fronte ed il suo tepore mi conforta ancora: forse era una lacrima sgorgata dagli occhi commossi del Signore e discesa dal Paradiso per imprimere un sigillo eterno alla nostra unione.
Parlarvi di Gesù vuol dire parlarvi della luce, della grazia, della gentilezza. È sbocciato come un fiore e il suo profumo ha invaso tutta quanta la dimora, ha colmato di delizia le mie ore e la mia vita è stata benedetta. È cresciuto come tutti i bambini del villaggio, obbediente, premuroso, pieno di gioia e di saggezza, ma con un carattere libero, volitivo, pronto a lottare per le sue decisioni. Ricordo che una volta si allontanò da noi e rimase al Tempio a predicare senza avvertirci o chiederci il permesso, aveva dodici anni. Quando ce ne accorgemmo non sapevamo più dove cercarlo e ripercorremmo la strada a ritroso fino a Gerusalemme con il cuore in gola. Non si pentì della sua azione, anzi ci rispose in modo impertinente e ritornò con noi a casa muto e un po’ imbronciato.
Il suo sorriso era conosciuto da tutto il vicinato, usava le parole con tanta fantasia e le sue battute mettevano la gente in allegria, così la casa era sempre piena di amici, di canti e di risate.
In fondo al mio cuore medito il mio destino, penso alla mia vocazione e non sempre comprendo le parole che questo figlio dice: è allora che ricordo che appartiene all’Altissimo e non a me, che è figlio solamente di Yahvè!>>.  

   

 

[...] La sera sta scendendo, il disco rosso del sole avvolge uomini e cose con la sua strana luce rosata che rimane appesa nell’aria. La giornata è stata lunga e piena di emozioni, sono tutti provati. Pietro ed Andrea si avvicinano a un largo focolare di pietra ed accendono il fuoco. Gli altri si sdraiano sul prato lì vicino ed intonano un salmo. Le loro voci sono delicate, abituate a cantare insieme, si fondono in una melodia dolcissima che intenerisce il cuore.
Giovanni prende il suo mantello e si avvicina adagio a Gesù che si è seduto un po’ distante con le spalle appoggiate a un grosso albero d’ulivo, si siede sulle ginocchia ripiegate accanto a lui. Tacciono entrambi per un poco, vogliono stabilire il contatto del cuore e questo è solo possibile se si è rilassati e tutto tace. Dopo qualche istante di silenzio Giovanni inizia a parlare: <<Maestro… Rabì… amico… ti sei addormentato? Ti ho portato il mio mantello, sta scendendo la sera e sei molto stanco, il tuo viso è pallido, l’umido della notte che si appresta a scendere potrebbe farti male, avvolgiti in questo, ti riscalderà>>.
<<Giovanni, amico mio, non è la coltre che mi dai a riscaldarmi, è l’amicizia che tu provi per me. Ti osservo sempre e mi consola vedere che ci sei, sapere che mi segui. Per me sei più di un figlio, sei l’amico che accompagna la mia umanità. Accostati Giovanni, ti voglio aprire il cuore: io sono un uomo come te, anche io ho bisogno di sentirmi attorniato dalla cura e dalla solidarietà delle persone. A volte mi sento escluso, ma quello che più mi affligge è sentirmi incompreso. Tutti mi cercano, si vantano di stare insieme a me, ma il loro cuore non cerca il mio, loro amano sé stessi perché la mia persona emana una energia che li fa star bene. Mi accompagnano, mi chiamano a gran voce e si aspettano di vedere i segni che Dio Padre compie attraverso me. È la curiosità che muove il loro cuore, l’attesa del portento o la richiesta di una grazia personale. Però  quando sarà il momento della prova mi lasceranno solo. È duro per il figlio di Dio essere un uomo! Vedi Giovanni, io sono tentato come voi e come voi sono turbato, la stanchezza mi stressa e genera la fuga, allora vorrei stare in una camera nascosta o in mezzo al deserto per pregare. Solo la preghiera ci innalza fino al Cielo, cancella la debolezza e ci proietta in braccio al Padre nostro. Anche tu puoi assomigliare a me, ogni uomo può essere perfetto se mi segue. La perfezione può essere raggiunta con l’aiuto di Dio ed io voglio portarvi fino a lì>>.
Gesù fa una breve pausa, si guarda intorno, la notte è stellata, le ombre degli alberi sono scomparse e hanno lasciato il posto a delle macchie scure. Il fuoco scoppietta e le voci sommesse degli apostoli portano al suo orecchio un coro muto che comunica la grandezza di Dio più che le parole.
Volge lentamente il capo verso Giovanni, si gira su un fianco per guardarlo meglio, diventa serio ed i suoi occhi scintillano d’amore: <<Pure tu, spesso dubiti di me - dice - pensi che il mio affetto per te non sia vero, che io dia troppo agli altri e poco a te. Non è così Giovanni, io sperimento con te la gioia di un’amicizia corrisposta. Dio è Amore, e l’amore che ti lega a me è ricambiato, non ti turbare più! Se a volte mi allontano è perché in me arde la volontà del Padre, devo seguire Lui, non mi posso fermare, i miei passi sono contati, ogni mia parola è stata stabilita fin dalla creazione: io devo portare avanti il mio destino, anche se costa caro, solo così vi potrò salvare>>.

   

 

[...] <<Dimmi Lazzaro, cosa ricordi del mondo della morte? Cosa hai provato quando ti sei trovato in piedi in una tomba oscura fasciato dalle bende, con l’aria rarefatta ed il tanfo di morte che appestava le narici?>>.
Lazzaro è un poco imbarazzato, non è pronto a ricordare quel che è successo, deve ancora riviverlo nel cuore, meditarlo e comprenderne il senso profondo. Non è una cosa semplice come Marta vorrebbe farla apparire, a volte sua sorella lo sorprende con il suo modo di fare. Poi si accorge che anche Giovanni e la mamma di Gesù lo stanno guardando ed attendono la sua risposta, così cerca le parole adatte per dare anche a sé stesso una spiegazione: <<Marta, non posso parlarti del mistero, però ti voglio dire che essere un niente ci arricchisce; lasciare il corpo ci proietta al di là del tempo ad una velocità che vince la limitazione, ci fa sentire liberi e leggeri, e l’anima che vola si dilata fino ad accogliere in sé tutta la creazione: ci si dimentica del mondo e le sue pene, e si è affrancati da ogni costrizione. Quando si vince la forza che ci inchioda a terra, che blocca le capacità e le emozioni, si diventa padroni di sé stessi, si è spinti in una danza, ci si sente forti e la vita tutta si trasforma in luce. Ricordo solo questo del regno della morte>>. Lazzaro cerca bene nella sua memoria, vuole ricordare il momento del ritorno in vita: come è successo?… cosa ha sentito?… come ha reagito il suo corpo? Ricorda solo una gran sofferenza e con voce incerta, spesso interrotta da lunghe pause prova a descriverla: <<…Ho provato un dolore insostenibile - dice - il sangue ha ripreso a circolare nel corpo intorpidito e mi è sembrato che potesse scoppiare. Le tempie mi battevano… la testa mi doleva… e nelle orecchie dei suoni assordanti mi terrorizzavano. Sentivo di essere vivo… ma non potevo vedere… il buio risucchiava la mia vita ed io avevo perduto il controllo del mio corpo: non riuscivo ad alzarmi… mi sentivo chiamare… sapevo che dovevo muovermi e rimettermi in cammino… ma non ne avevo la forza ed ero disperato! Fu allora che una mano, non so di chi, mi ha sollevato e mi sono trovato all’ingresso di una tomba scavata nella roccia. Non c’era odore di morte, ma il profumo di fiori, la carezza fresca del vento di levante e una sensazione colma di benessere. Quando le bende mi sono state tolte, la prima persona che ho riconosciuto è stato il mio Maestro, l’amico ritrovato, il mio Gesù. L’ho visto davanti a me con le braccia aperte e lì sono caduto, nel suo abbraccio, nella sua presa forte che mi ha dato calore, nel suo sorriso che mi ha riaperto la vita.
Non so dirti altro Marta, è stata un’avventura, un sogno forse, un’esperienza strana, un dono di Dio, un gran mistero>>.

   

 

[...] Non riesce a fermarsi Giovanni, i ricordi si susseguono ai ricordi, scaturiscono dalla sua memoria come una cascata spumeggiante, fresca, cristallina, esplodono davanti ai suoi occhi e gli ridanno vita e allora continua a parlare, fa vivere a Maria quello che ha sperimentato perché anche lei gioisca e il sorriso le ritorni: <<Gesù è per me una fonte continua di stupore - dice - non dimenticherò mai più quello che successe a Nain in Giudea. Lo accompagnavamo tutti e fischiettavamo in allegria, eravamo seguiti da una folla enorme, qualcuno di noi parlava, gesticolava, diceva battute spiritose e poi si rideva insieme.
Io avevo accanto un cagnolino bianco, aveva una macchia nera sopra un occhio, camminava male, ma la sua coda era diritta ad indicare il cielo e fendeva l’aria come il timone di una barca quando taglia il lago. Cercavo di mandarlo via perché soffriva, zoppicava e faticava a mantenere il passo, ma lui abbaiava felice e ogni tanto si accostava alla mia gamba per tirare con i suoi denti aguzzi la mia veste.
Fu allora che incontrammo un funerale: era un ragazzo, il figlio unico di una vedova. La madre piangeva con dignità avvolta nel suo mantello scuro; c’era silenzio, nessuno osava disturbare la sofferenza della donna con un lamento funebre, solo le note tristi dei flauti che precedevano la processione risuonavano nella valle.
Gesù la vide, si staccò dal gruppo e le si avvicinò. Nessuno lo seguì. Nel caldo del pomeriggio la sua figura con la veste bianca sembrava sciogliersi nel candore della luce ed era avvolta dalla polvere sollevata dai passi della gente; un’afa spaventosa rendeva ancora più invivibile quell’ora.
La donna non chiese nulla, alzò il suo viso e gli piantò negli occhi il suo dolore. Vidi la commozione scuotere il corpo del Maestro. Tutti si fermarono e rimasero in attesa, solo il mio cagnolino continuò a girarmi intorno e a scodinzolare.

In quella scena di desolazione si sentì chiara levarsi la sua voce:  ‘Non piangere! - le disse’, e le sorrise. Poi fermò i portantini con un cenno di mano, si accostò alla bara, scacciò il nugolo di mosche che impietose sciamavano intorno al volto del ragazzo e celebravano ronzando il loro rito: ‘Alzati ragazzo - gli ordinò - te lo dico Io!’.  

Vidi quel giovane mettersi a sedere e girare il capo in cerca di sua madre: ‘Eccola! - disse Gesù prendendola per mano’,  e ponendo le sue dita sulla nuca del giovane, con una carezza, glielo consegnò>>

   

 

[...] Ora Gesù lascia la città attraverso la porta degli Esseni e si avvia giù per il pendio pietroso che, dal monte Sion, scende fino alla valle della Geenna per continuare poi fino al torrente Cedron, passa accanto alle tombe di Giosafat, attraversa il Cedron in un punto in cui i sassi affiorano sull’acqua, e si trova ad oriente della città, sul monte degli ulivi. È triste e taciturno. Affretta il passo, non ha voglia di parlare e si avvia verso l’orto del Getsemani. Lì vi è la grotta del frantoio all’interno della quale un grande torchio viene usato per frantumare le olive e per spremerne l’olio. Dentro questa caverna entrano i suoi seguaci a riposare. Gesù si allontana da loro e si inoltra tra gli alberi d’ulivo per andare a pregare. Pietro, Giacomo e Giovanni lo seguono. Non lontano da lì vi è una larga roccia chiara con dei riflessi rosati, essa parte da una grotta e si protende in avanti nel giardino. In questo luogo Gesù viene spesso a riposare e a pregare. È un posto solitario, un po’ nascosto, che assicura l’intimità e la riservatezza. Sosta un attimo, ha un’aria stanca. Il sole è tramontato, le fronde degli alberi sono delle macchie scure minacciose. Non si sente bene, ha freddo. Aspetta i tre discepoli che hanno accese le torce per illuminare il percorso un poco impervio, chiede loro di sedersi e di pregare, poi si allontana da loro: vuole rimanere solo.
Giovanni non si siede, gli va dietro, vuole stargli accanto. Guarda il suo Maestro, gli sembra di non riconoscerlo: è cambiato, è così diverso dall’amico che l’aveva accompagnato negli anni belli pieni di letizia e d’avventura, ha un’aria distaccata che gli fa paura. Il cuore di Giovanni cede, capisce che l’ora terribile è arrivata e ormai non si torna indietro. Vi si oppone con tutte le sue forze, non vuole adattarsi alla realtà, combatte contro un destino che non comprende e gli sembra ingiusto. Dimentica tutte le parole che Gesù gli ha dette, tutta la storia vissuta in quei tre anni insieme a lui gli si cancella dalla mente: la sua conversione lenta e prodigiosa, la volontà del Padre da seguire, i ragionamenti fatti, la sua fede… tutto sparisce davanti alla disperazione del suo cuore che vede l’amico che se ne va a morire. Si ribella, è diventato folle, accecato dal dolore, non ragiona più. Afferra Gesù che si sta avviando verso la pietra rosata del giardino, lo tira per la manica e lo fa voltare. Gesù lo guarda in viso. I suoi occhi sono rossi, bruciano per la febbre, il suo viso è pallido, distrutto, non è più un uomo, è l’effige del dolore umano. Si ferma, l’ultima parola sarà per l’amico che lo ha accompagnato con il suo amore durante questi anni di preparazione alla sua Pasqua.

<<
Giovanni, - dice - tu solo hai compreso tutto, vedo nel tuo sguardo il dolore di un amico che si sente a un bivio ed ha timore di essere lasciato. Io rimarrò con te anche quando me ne sarò andato>>.
Queste parole aumentano la collera di Giovanni, è un animale colpito, non ha tempo di leccarsi le ferite, vuole tirare fuori tutta la rabbia che gli ribolle dentro. È tornato il ragazzo audace e forte che affronta le tempeste quando sul lago governa la sua barca: <<Non puoi andartene così - gli urla in faccia - non mi puoi lasciare. Io ti ho seguito, ti sono stato amico, ho creduto nelle tue parole, nella tua amicizia, mi sono sentito scelto, prediletto, ed ho ricambiato sempre il tuo favore. Ora mi dici me ne vado, ora mi dici tutto è finito, la mia ora è giunta, mi sarà tolta la vita, ma rimarrò con te. Non ti capisco Gesù. Ma che amico sei se te ne vai? Tu ci tradisci tutti, tu ti approfitti del mio amore. Tu ti porti via ogni cosa, mi lasci nudo a terra, disperato, cancelli in un attimo il passato: un colpo di spugna e via, non rimane più niente, abbiamo solo sognato! Recidi il ramo dalla vite e mi rendi vittima, sì Gesù, non lo capisci? Io sono la tua vittima, vittima del tuo amore>>.
Non si arresta più Giovanni, il suo viso è paonazzo, gli occhi sono diventati piccoli e guizzano nella semioscurità che li circonda, alza il tono della voce: <<Tu potresti rimanere ma non vuoi, non vuoi rimanere per amore mio, ed io devo essere fedele ad un amico che si rende assente? Gesù non posso, Gesù non voglio, Gesù non chiedermi d’amare colui che muore. Io sono vivo, vivo, vivo! Lo capisci?… No, non lo vuoi capire, oppure non lo puoi, forse ti stai spogliando della nostra umanità, forse avevo ragione io: il figlio dell’uomo si può amare, ma il figlio di Dio no, rimane l’altro che non si possiede mai. Chi sei tu Gesù? Sei quello che sognavo? Sei la porta aperta verso il Cielo? Sei solo un’illusione? La fine di un mistero che non mi è mai stato amico?>>.
Gesù si avvicina a Giovanni, lo afferra per un braccio con forza e lo strattona, ha un’aria minacciosa, fa paura. La forza della sua voce risuona nel silenzio e tutto il creato tace. La notte è scesa, la torcia di Giovanni illumina le loro due persone e intorno a loro si ferma il tempo, il corso della storia si arresta e attende che l’uomo comprenda il punto di svolta impresso dal Signore alla vita del mondo e lo faccia suo.
<<Cosa hai capito di me Giovanni? - gli urla Gesù con serietà e durezza - sei stato con me tre anni e sei rimasto avvolto nel tuo egoismo, come un bambino che non vuole crescere, che non vuole maturare, che non accetta le responsabilità, che vuole essere amato, ma non sa cosa vuol dire amare.
Cosa hai capito tu dell’amore Giovanni? L’amore è sacrificio, è donazione, è olocausto continuo, non è immaginazione. Le tue sono tutte fantasie, sono gridi che escono dal timore di sentirti solo, dall’incapacità di prendere una croce, dalla illusione che puoi avere tutto senza donare niente.
Io sono amico tuo, io ti ho donato la mia persona, ora ti chiedo di restituirmi il frutto che ho seminato in te.

Sei tu che mi tradisci, sei tu che mi deludi, sei tu che mi rinneghi… pure tu! Come puoi accusarmi di approfittarmi del tuo amore? Come puoi non capire che l’oggi non è per sempre? Tu sei nel mondo, ma io non ti ho fatto per il mondo, ti ho chiamato ad una realtà più grande, ti ho aperte le porte del Regno di Dio, è lì che tu verrai, è lì che mi possederai, è lì che potrai rimanere per sempre nel cuore del Signore. Tu ancora Giovanni non hai compreso l’essenziale: Io incarno l’amore del Padre verso i Suoi figli, sono venuto sulla terra a viverlo con voi e ora devo riportarlo a Lui ricolmo della vostra umanità!>>.

Poi cambia tono, l’immagine dell’amico in preda al dolore lo commuove. L’umanità che ama e si rifiuta di vedere partire la persona amata per il Regno del Padre lo riempie di tenerezza. L’amore umano è fatto così, non riesce a proiettarsi in Cielo, rimane legato al contingente, all’oggi terreno e alle sue illusioni. Un giorno cambierà, verrà un tempo che anche questo per la gloria di Dio succederà. Ora vuole calmare la sofferenza dell’amico, ridargli la fiducia, placare con una parola gentile la sua pena.
<<Giovanni, non voglio fare mio il tuo tormento, - dice - voglio dimenticare le tue parole, sono state una esplosione di dolore, un grido della tua anima ferita>>. Sosta un momento, poi prende la mano destra dell’amico, la chiude stretta tra le sue come in uno scrigno, la porta al cuore e continua: <<Ti ho visto poco fa, quando ti sei adagiato sul mio cuore, cosa hai sentito Giovanni? Dimmelo amico, ne hai ascoltati i battiti? Ne hai carpito l’energia? Hai percepito il respiro di Dio mio dolce amico? Questo dono te l’ho fatto io. Te l’ho donato perché sapevo che avresti sofferto, che ti saresti turbato ed avresti urlato come un tuono. Io sono il tuo Maestro, sono colui che è per sempre, sono l’amore di quel Dio che si fa agnello e devo andare dove decide Lui. Sii certo tornerò, aspettami tre giorni, è un tempo breve, mi rivedrai risorto e allora capirai, abbi fiducia in me>>...

   

 

[...] <<Gesù è morto - dice Giovanni con un filo di voce - ed io ero lì. Ho assistito a tutto. Lo guardavo senza parlare, non avevo più il cuore, non avevo più vita. Gesù moriva ed io non riuscivo a soffrire, non riuscivo a pensare, non esistevo più.
Non l’ho mai lasciato, nemmeno per un attimo, avevo pagato le guardie per vivere con lui ogni momento: ero lì quando lo hanno frustato, ero lì quando lo hanno spogliato, quando con i rovi lo hanno incoronato. Ad ogni colpo lui alzava gli occhi al cielo e diceva a Dio: ‘Perdona, perdona loro’. La corda lacerava la sua pelle e lui: ‘Perdona Padre - ripeteva’; gli uncini gli strappavano le carni e lui: ‘Perché lo fai - sembrava dire - io ti amo sono qui per salvarti’; le spine gli si conficcavano nel capo: ‘Ti amo - mormorava - e ti ho già perdonato’. Lui moriva in quel momento, gli scoppiava il cuore... qualsiasi strage d’innocenti non può essere più atroce della vista del Creatore martoriato dalle sue creature.

A questa violenza lui non si è sottratto, vi è andato incontro liberamente, l’ha voluta possedere tutta come un agnello sacrificale, forse per annullarla nel dolore ed offrirla a Dio per salvare il mondo. C’erano altri con me ed eravamo tutti silenziosi. Non un gemito, non un grido, non una imprecazione, tutto taceva e sembrava che la nostra vita si avviasse lenta alla sua conclusione. Poi lui ha preso il palo della croce, l’ha portato diritto su una spalla come fosse un vessillo,un segno di vittoria e si è avviato verso il Calvario per morire ancora.

Nulla può essere come era prima, tutto è cambiato ora. Dio Padre ha consegnato Suo Figlio all’uomo che lo ha perseguitato, deriso, umiliato e fatto morire in croce; Gesù lo ha perdonato e con il suo perdono lo ha riportato al Cielo da dove un giorno si era allontanato: questo è il senso della sua morte gloriosa sulla croce.
Parlatemi amici, date voce nuovamente alla speranza, Gesù ha vinto la morte, non è stato da essa sepolto come fu per i profeti!>>.

   

 

[...] <<Quanti ricordi madre mi tornano alla mente! Ripenso al giorno in cui scoprii che Gesù, l’amico prediletto, un uomo come noi, era in effetti Dio: il fattore e motore di tutta la creazione. Eravamo in barca, Gesù non era insieme a noi e all’improvviso il mare si gonfiò, il vento si mise a soffiare così forte che stracciò le vele. I flutti ci sferzavano. Il panico ci prese tutti. Grida, lacrime, preghiere cercavano di scongiurare il pericolo che ci minacciava. Io abbracciai l’albero maestro, mi tenni forte perché volevo sopravvivere, poi un rumore sordo, un crack repentino ruppe in due il legno al quale stava avvinghiata la mia vita. Fu allora che dispiegai la voce, chiamai Gesù, urlai il suo nome nel vento che infuriava, lo gridai con una forza che rese silenziosi i miei compagni: ‘Maran atha - dissi - Gesù vieni a salvarci, solo tu puoi renderci la vita, solo tu puoi calmare gli elementi’.
Madre, non ve l’ho mai detto, sul mare davanti a noi apparve una figura: era luminosa, camminava sull’acqua, il suo passo era sicuro, sembrava non faticasse a dominare il vento, anzi la bufera innanzi a lui si affievoliva e l’acqua si faceva  levigata e piatta. I miei compagni pensarono fosse un fantasma, e, temendo che la morte avesse preso una sembianza umana, ripresero ad urlare. Io riconobbi subito il Maestro e per la prima volta mi accorsi che era Dio: era Gesù, ma era il mio Signore; era un uomo, ma era il Salvatore; era l’amico, ma era l’amore incarnato di Yahvè. La paura mi lasciò, non avevo più timore di morire, una gran calma si impadronì di me. ‘È il Maestro - mormorai’, e tutti mi guardarono. ‘È il Maestro - gridai allora’, lui vive in mezzo a noi basta chiamarlo, basta avere fede e lui ci tende la sua mano.
Gesù sorrise, ci sgridò un poco, ci chiese di parlare sempre a Dio con il cuore in mano, di non perdere mai il controllo della fede. Ordinò al vento di smettere di urlare, ordinò all’acqua di smorzare la furia, ordinò alla pioggia di cessare e il cielo all’improvviso fu invaso dai raggi della luna e la sua coltre si rivestì di stelle>>.

 

 

 

[...] <<Giovanni amico mio, sono venuto a salutarvi tutti, è arrivato il momento di partire, devo ritornare al Padre e da lassù vi manderò il Consolatore che vi seguirà in ogni attimo della vostra vita.
Non parlarne ancora agli altri, si rattristerebbero, voglio mangiare insieme a voi ancora una volta in allegria, spezzare il pane dopo averlo benedetto, lasciarvi le mie intenzioni e rinfrancarvi un poco.
Giovanni seguimi! Vienimi sempre dietro! A te affido tutte le creature che amano il fratello, lo curano, lo vestono, lottano per la sua dignità perché attraverso lui amano me. Al centro del mio cuore ci sta l’uomo. Per lui sono venuto sulla terra, per lui io sono morto in croce, per lui sono risorto, non lo scordare mai. Non sono venuto al mondo per giudicarlo Giovanni, sono venuto per salvarlo! Questo è il messaggio che ti affido prima di tornare al Padre: “Chiunque crede in me sarà salvato!”, diffondilo più che puoi. Le porte del mio Regno si sono aperte e non si chiuderanno fino all’ultimo giorno, io vi aspetto lì. Solo tu che mi hai accompagnato fino al Golgota puoi essere in grado di rivelare al mondo la gioia che ho provato nel vivere e morire per voi.
Ti sarà concessa una lunga vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nelle difficoltà e nei momenti di serenità credi in me Giovanni, questo solo ti chiedo perché questa è la volontà del Padre, questo è il desiderio del Figlio, questo solo è il gesto che riconcilia l’intera umanità con la vita eterna: “Che confidiate in me e vi lasciate amare dal vostro Dio”. Non tutti seguiranno Pietro, a lui lascerò il mio gregge da guidare in terra, parlerà in mio nome e nel mio nome perdonerà i peccati, sarà la guida umile ed attenta di una moltitudine di giusti che vorranno testimoniare le mie parole con la loro vita.
A te affido l’amore, l’amore per tutte le creature, quella tenerezza che Dio Padre invia indiscriminata sulla terra e con il dono di Suo Figlio ha riservata per sempre a tutta quanta la Sua umanità>>.