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Dalla presentazione
il libro che vorrei portare avanti è un libro pieno di vita, un libro che stupisce, che comunica emozioni, avvolto nel calore di un pathos che penetra nell'anima. Forse anche un libro che diverte, che immette allegria nelle persone e rispecchia i visi gioiosi di coloro che hanno partecipato al ritiro. Quello che vorrei uscisse dal nostro libro, è un diamante di Grazia che cominci a pesare sulle nostre miserie, sui dubbi, sugli scrupoli, li frantumi e ci indirizzi verso la vittoria del Bene. Non so come farlo, ma io non so mai come scrivere i libri quando li comincio, è il Signore che mi prende la mano e fa sgorgare, attraverso la tastiera del computer, una sinfonia che seduce. Se sei d'accordo, mi metto all'opera, prima devo finire di sbobinare attentamente il materiale e avere anche quello che vuoi ne faccia parte e poi devi permettermi di entrarci, io sarò la voce della comunità che accoglie quanto detto, lo fa suo e ne vive la bellezza e la gioia... vedrò. È qualcosa forse di originale e di molto difficile, forse sono solo illusa di avere capacità che non mi appartengono, ma se questo desiderio è nato, ci posso provare. Se poi ho volato troppo alto, mi risveglierò al suolo sotto un paracadute vuoto e appiattito sul terreno, allora, ripeteremo l'esperienza del Perdono… Il libro è finito, lo abbiamo pubblicato e lo consegniamo alla lettura di chi cerca Dio e non sa come trovarlo. È un libro corale nel quale tutti hanno partecipato con le loro sensazioni, le loro pene e le loro gioie, è un gran concerto, potremmo dire, nel quale il direttore d’orchestra, il Signore nostro, ha messo la bacchetta in mano ad un fratello francescano e gli ha ispirato la sinfonia. A me ha dato la gioia di interpretarla e metterla su carta per conservarla viva nel tempo. La mia speranza è di essere riuscita a riportare, con la stessa intensità con cui l’abbiamo vissuta, la bellezza di questa Tappa del Cammino di Fede perché diventi patrimonio di tutti e porti frutto. Maria Teresa Lo Bianco (...) Alla spicciolata, entriamo nella grande sala delle riunioni della Casa del Pellegrino in Collevalenza, sono le 9 e 30. Nel cuore di tutti vi è l’attesa di potere vivere due giorni di pace, di ricaricare le proprie energie e lasciarsi amare da Dio. Il tema del ritiro spirituale ha aperto il cuore alla speranza, ha illuminato i volti distendendo le labbra nel sorriso. La guida spirituale del ritiro è padre Renzo Campetella, dell’ordine francescano dei frati minori. In molti lo seguono non solo a Roma e provincia, non solo in Italia, ma anche dall’estero. Il suo modo semplice, diretto, chiaro, illuminato fa sempre breccia nei cuori e apre un cammino di fede diverso, a misura d’uomo, gioioso, radicato nel quotidiano, con i piedi in terra e la mente già innestata nella bellezza del cielo.
(...) La domanda che Gesù ci fa stamattina è la stessa che fece un giorno ai suoi discepoli: ‘Voi, chi dite che io sia?’. Chiedetevi: chi è per me Gesù? Se non rispondiamo a questa domanda, vengono fuori solo delle belle teorie teologiche che ci possono anche spaventare e, comunque, ci fanno correre il rischio di fare solo filosofia. Si tratta, invece, di un discorso personale. L’uomo è stato creato per un rapporto personale di tu a tu con Dio. Non possiamo rispondere con le parole degli altri, dobbiamo rispondere con le nostre parole perché siamo unici e irripetibili e nessuno può vivere la vita di un altro. Ognuno deve prendere in mano la propria esistenza senza avere paura. Se manca questo coinvolgimento personale, la fede si riduce a una semplice pratica religiosa che ci può anche fare entrare in crisi: bisogna confessarsi tante volte l’anno, fare la comunione tante volte l’anno, andare a Messa. Tutte cose vere; tuttavia se riduciamo il nostro essere cristiani all’esecuzione pedissequa di alcune abitudini, rischiamo di mettere in pace la nostra coscienza solo per sentirci a posto. Per essere cristiani, invece, bisogna avere un rapporto personale con Dio. È come nel matrimonio, non basta lavorare e portare i soldi a casa per essere famiglia. La base del matrimonio è molto di più del semplice contratto: a che serve il matrimonio se non c’è un rapporto confidenziale, di tenerezza e complicità nella famiglia? La crisi delle famiglie nasce dalla mancanza di questa base. Tante famiglie sono diventate un albergo: si mangia, si dorme, ci si veste e si riparte. Per questo le famiglie si sfasciano, manca il desiderio, manca l’amore, manca la fede nel proprio rapporto. Con il cammino di Fede è la stessa cosa. Non basta seguire delle regole, le regole sono solo una traccia di quello che dobbiamo fare, la cosa importante è vivere un rapporto d’intimità con Dio. Che te ne fai di una persona che dice di volerti bene o alla quale tu dici di voler bene, se poi manca la tenerezza e la gioia dello stare insieme? Spesso dico ai miei amici: sapete perché la nostra amicizia è bella e vera? Perché stiamo bene insieme anche quando non facciamo niente. Quando si vuole bene a una persona, la sola sua presenza ci dona pace e un senso di benessere: questo è l’innamoramento! Stare insieme per interesse o attrazione fisica non è Amore ma strumentalizzazione. Lo stesso è per la Fede: è un’esperienza che riempie la vita, non è l’esecuzione di fredde norme. Chi è il credente allora? È uno che sta in continua ricerca di Dio, che è immerso nel già e non ancora. Fermatevi e mettetevi di fronte all’idea di Dio: questo Dio che ha creato non solo il mondo, ma l’universo intero, che ha creato gli uomini uno diverso dall’altro, che ha creato la natura dove non vi sono due foglie eguali! Pensate com’è grandiosa e immensa la natura! E noi possiamo avere un rapporto intimo, di amicizia con il Creatore! È un pensiero tanto grande, una verità che ci sovrasta al punto da farci apparire la sua realizzazione quasi un assurdo».
Che voglia di chiudere gli occhi ha pervaso tutti i presenti! Chiudere gli occhi per riaprirli in una realtà divina, possibile, vera, grande, alla portata di ciascuno. Ognuno di noi ha pensato: quante volte ci siamo sentiti invadere dal desiderio d’infinito! Quante volte davanti ad un tramonto o a un cielo stellato ci siamo immersi in un’energia che ci ha esaltato… lì c’era Dio, anche se non l’avevamo immaginato! Quante volte davanti alla purezza di un bambino, alle sue parole balbettate o alle sue braccine strette intorno al nostro collo, abbiamo sentito la tenerezza di un legame misterioso che ci ha mozzato il fiato… lì c’era nostro Signore che ci aveva abbracciato! Quante volte, ancora, davanti al dolore di un fratello siamo stati presi da una commozione così forte che ha riempito i nostri occhi di lacrime, ci ha stretto il cuore in una morsa e ha risvegliato in noi la compassione che Gesù aveva provato… lì c’era l’uomo o la donna che Dio Padre aveva creato a Sua immagine e somiglianza per donare amore ed essere riamato! La platea è commossa, non dà segni di stanchezza, ha sete… sete di esperienza divina, sete di Dio. Fra Renzo continua a parlare con lo sguardo acceso, la voce commossa, la voglia di donarci quello che la Grazia di Dio gli mette in cuore.
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«In questa nostra ricerca di Dio come possiamo incontrarlo? È Gesù stesso che ci porta a Dio perché Gesù è l’incarnazione di Dio. Con Gesù, Dio è diventato umano. Fare esperienza profonda di Dio è difficile se non seguiamo Gesù Cristo. In Gesù, Dio è venuto a condividere le nostre gioie, i nostri dolori, le nostre ansie e a comunicarci la Sua tenerezza e la Sua paternità! Prima della venuta di Gesù, Dio era l’altissimo, l’immenso, vi era un rapporto di sudditanza e quasi di paura. Ecco il perché di tutti i sacrifici che gli erano resi. Con la venuta di Gesù, è divenuto un Dio a cui ognuno può dare del tu. Il vero miracolo non sono le guarigioni, ma è la Fede... perché ci vuole un miracolo per avere fede! La fede è uno stato di grazia: è Grazia di Dio! Lo dice Gesù stesso quando esalta il centurione che non gli permette di recarsi fino alla sua dimora per guarire il suo servo in fin di vita, ma crede fermamente che basti una Sua sola parola per compiere il miracolo e salvarlo. Gesù allora dice: ‘Non ho mai trovato una fede così grande in tutto Israele’. Ed ecco che il miracolo avviene, avviene per la grande fede di un uomo che non appartiene al popolo di Dio, ma ha avuto fede in Lui, in Gesù Cristo, una fede cieca! Noi abbiamo bisogno di un Dio tangibile che risponda alle nostre domande: lo vogliamo sentire! La fede, invece, è credere in Dio anche quando umanamente e psicologicamente non lo sentiamo accanto a noi. Gesù non è sparito quando è asceso al Cielo, ha trovato un’altra forma per restare con noi e ce l’ha assicurato dicendoci: ‘Io sono in mezzo a voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’, ciò vuol dire che anche oggi sta in mezzo a noi. Ci ha anche detto: ‘Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro’. Allora, il ritiro lo facciamo tutti insieme, non è padre Renzo che vi dice chi è Gesù comunicandovi le cose che si è dovuto appuntare per paura che gli sfuggissero di mente, è Gesù stesso che parla al vostro cuore e vi dice chi è. La fede è questa: credere al di là delle nostre percezioni. Credere alla comunione di Dio con noi, alla Sua presenza silenziosa e fedele, al Suo amore che ci avvolge e ci tutela. Tante volte la nostra fede è piena di sentimentalismo: ci si alza il mattino e, se abbiamo riposato bene, sentiamo Gesù vicino. Se, invece, non abbiamo dormito per un motivo qualsiasi e siamo nervosi, Dio non lo sentiamo più. Queste sono paranoie del nostro cervello! Gesù diceva: ‘Può una madre dimenticare suo figlio? Anche se ci fosse una madre così sciagurata, Dio non può dimenticarsi di noi che siamo suoi figli’. Dio, quindi, non ci ama perché siamo buoni e bravi, questa è una nostra idea malsana, Dio ci vuole bene perché siamo figli suoi! Dio ci vuole bene così come siamo! Non pretende nemmeno che miglioriamo, non sarebbe Dio se non ci lasciasse liberi. Lui ci vuole bene perché Lui è il bene. Io penso che se ritornassimo a casa con questa idea - che Dio ci vuole bene per quello che siamo - avremmo già risolto il problema del nostro rapporto con Dio. Quando si scopre l’amore di Dio, succede che all’amore si risponde con l’amore. È nella natura umana sforzarsi di amare chi ci vuole bene. È l’amore che conquista il nostro cuore, non si ama per dovere. Non abbiamo nessun dovere nei confronti di Dio, perché qualsiasi dovere schiaccerebbe la libertà, e Dio è libertà. Non si deve andare a Messa la domenica, a Messa ci si va perché se ne sente l’esigenza; se qualcuno va a Messa per la paura di andare all’inferno, vuol dire che all’inferno ci sta già. Gesù diceva: ‘Il Padre mio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, sui buoni e sui cattivi’. Se capita una disgrazia, sento dire da qualcuno: ‘Dio mi ha punito’. Sarebbe una cosa terribile questa, Dio non può punire! C’è chi pensa che Dio abbia voluto la morte di Suo Figlio. Questa è un’altra sciocchezza immensa! Dio non voleva che Gesù morisse in quella maniera atroce, non poteva volere una cosa del genere. Qual è il padre che vuole che il figlio muoia? Gesù ha subìto la cattiveria umana ed è stato condannato a morte per due motivi, il primo, un motivo religioso: è stato dichiarato colpevole di avere bestemmiato dicendo di essere il figlio di Dio; il secondo, un motivo politico: è morto perché si è dichiarato re, anche se non di questo mondo. Questi sono i due motivi storici per i quali Gesù è morto. Poi, dietro questi eventi, vi è la grandezza di Gesù di sottoporsi al male e di vincerlo con il perdono, fino al punto di esclamare sulla croce: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. In questo si vede l’amore grande di Dio che ha saputo sfruttare la cattiveria umana per qualcosa d’immenso, d’incommensurabile come la nostra salvezza. Sta di fatto, che il Giovedì Santo, avendo avuto sentore che lo volevano uccidere, ha avuto paura ed ha detto: ‘Padre, se possibile, passi da me questo calice’. Poi, con la Sua morte e Resurrezione, ha dato un volto nuovo alla nostra morte. Dio non è distante da noi, è la fede nostra a essere assente. Il solo fatto che siamo in vita è la certezza che Dio ci pensa dalla mattina alla sera». Nella sala il coinvolgimento continua, non un brusio, non un colpo di tosse, ognuno entra in se stesso e s’interroga. Quanto siamo fragili! - pensiamo - Quanto è difficile per noi avere fede e abbandonarci alla Grazia divina che ci avvolge in una corrente di bene che ristora! Eppure, adesso ci sentiamo amati, ci sentiamo scelti e siamo pronti ad aprire dall’interno quella porta priva di maniglia esterna… il desiderio ci seduce! Anch’io, forse, qualcuno medita, ho pensato che Dio Padre abbia esagerato nel pretendere la morte di Suo Figlio… e si amareggia di non avere compreso il rispetto di Dio per gli uomini ai quali aveva affidato il Figlio per aprire loro gli occhi, per prenderli per mano e riportarli a Casa. Che lavorio interiore! Che risveglio della mente, che apertura della coscienza e senso di gratitudine! La nostra anima si apre a una verità che rende responsabili e che dona la speranza di cambiare perché ognuno valuta la grandezza di potere ricominciare. Padre Renzo approfondisce sempre di più il suo discorso, entra nelle coscienze con esempi pratici e tende le corde più riposte della nostra interiorità fino a farle vibrare.
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Gesù, guarendo un paralitico nel giorno di sabato, ossia nel giorno in cui era del tutto vietato dalla legge compiere una qualsiasi azione, ci dice che al centro del cuore di Dio vi è l’uomo! Questo significa che la legge, in questo caso il sabato, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge. Nello stesso modo, ci dice che al centro del nostro essere cristiani non ci sono i sacramenti o le processioni, ma c’è l’uomo. Se Dio si è incarnato, è per la salvezza dell’uomo. Se Dio ha istituito la Chiesa, è per l’uomo. Perciò al centro del pensiero di Dio ci siamo noi, c’è la persona! Capite la grandezza di tutto ciò? Significa che tutte le cose che Gesù ha detto sono per noi. Noi, purtroppo, siamo talmente infarciti della cultura d’oggi, del tutto opposta ai valori del cristianesimo, che abbiamo pensato che la vera libertà sia fare come ci pare. Oggi, se tante cose non vanno bene, anche a livello di salute, è perché abbiamo maltrattato la nostra salute. Voi pensate a un figlio che nasce da un genitore alcolizzato: nasce menomato. Un figlio che nasce da un tossicodipendente nasce in crisi di astinenza. Ho lavorato con i tossicodipendenti ed ho anche lavorato in ospedale, abbiamo avuto dei bambini che sono nati in crisi di astinenza ai quali abbiamo dovuto dare la morfina. Non ce la prendiamo, allora, con il Padre Eterno quando siamo noi a disconoscere le regole che Lui ci ha dato da seguire per farci realizzare come persone e come figli Suoi! Lo stesso vale per l’uso imprudente delle moto e delle macchine, se guidiamo a duecento all’ora e poi andiamo a sbattere, con chi ce la prendiamo? Con il Padre Eterno? Ci sono delle norme da rispettare. Spesso sfidiamo talmente la vita da diventare schiavi della vita stessa. Dio ci ha indicato delle regole, ma non ce le ha imposte. Nel Vangelo, infatti, non troveremo mai scritto devi, ma sempre: ‘beati voi se ascoltando queste cose le metterete in pratica’. Se Dio non esaudisce le nostre richieste e ci dice di no, è perché vuole il nostro bene. Noi cerchiamo sempre i beni immediati. Pensate, e ve lo dico perché devo parlare in nome di Dio, al problema dell’aborto. È inutile usare i mezzi termini: l’aborto è contro la vita ed è contro Dio! È senza senso parlare di due o tre settimane, di due o tre mesi: si ammazza un figlio! Se non ci fosse l’incontro tra l’ovulo e lo spermatozoo non s’innesterebbe la vita. La vita non comincia dopo tre mesi, nasce in quell’incontro. Quando la madre è incinta e fa l’ecografia, vede il cuore che già pulsa in maniera sorprendente… c’è già la vita! Il dramma qual è? È la superficialità con cui si prendono certe decisioni, si dice: ‘Bisogna sbrigarsi, non ha il marito, non è sposata, sopprimiamolo!’. Nell’esercizio della mia missione ho incontrato gente che ha abortito trenta o quarant’anni fa e so quale trauma si crea all’interno di una persona… quell’atto rimane una ferita aperta, si continua a pensare a come sarebbe il proprio figlio se fosse nato… si maledice la persona che ci ha costretto all’aborto… madre compresa. Quando siamo assaliti dal rimorso dello sbaglio fatto, la vita diventa un tormento: allora solo la misericordia di Dio può salvarci! Non dobbiamo fare i buonisti, dobbiamo dire la verità, poi la misericordia di Dio supplisce a tante nostre carenze. La nostra società ci propone una pseudo felicità e ci riduce all’infelicità. Oggi il superfluo è diventato necessità. Se non abbiamo venti cappotti o trenta paia di scarpe, ci manca qualcosa. Ecco allora, che diventiamo schiavi delle cose! Se arrivasse un terremoto, moriremmo non per le travi che ci cadrebbero addosso, ma sommersi dalla roba che abbiamo dentro casa!». Nella sala il silenzio diventa pesante! Le parole di padre Renzo, che da amabili si sono fatte severe, buttano all’aria le certezze da noi costruite per mettere a posto le coscienze. Anche se l’ultima battuta ha fatto sorridere, dentro ciascuno di noi la voglia di riflettere diventa imperativa! Anch’io, anch’io, anch’io! Anch’io faccio parte del branco, anch’io sono figlio dei miei tempi, anch’io mi nascondo dietro un’idea di comodo: quella volta conoscevo il problema del fratello o della sorella… perché non l’ho aiutato? Sapevo che non era in grado di accettare una vita per delle ragioni che la spaventavano… perché non le ho dato una mano? Io non avrei mai abortito se fossi stata al suo posto… che responsabilità ho? Gesù ci ha insegnato che siamo responsabili gli uni degli altri, che il fratello aiutato dal fratello è come una città fortificata… e noi dove eravamo? Forse abbiamo anche dato un consiglio, abbiamo usato parole, ma siamo stati capaci di realizzare, con l’aiuto pratico, ciò che dicevamo? Quanto è difficile essere Cristiani, agire da Cristiani! Ognuno dice a se stesso: ‘Non sono in grado di adeguarmi, lo sento, lo so… forse, però un passetto alla volta lo posso fare… forse non sono sempre gli altri che devono cambiare… forse devo cominciare da me!’. Il superfluo poi… l’importanza delle cose… l’attaccamento al denaro… l’egoismo… il mio ‘io’ che impera, ci sono immerso fino al collo… che scombussolamento… sembravi tanto dolce all’inizio padre Renzo e ora ci stendi a terra, ci rivolti le coscienze, ma chi sei? Padre Renzo porta avanti la parola di Cristo, lo aveva detto prima di iniziare: il ritiro lo farete voi, sarà Cristo a parlare! Un sospiro liberatorio e… si riprende l’ascolto, adesso la voce dell’oratore cambia tono e ci riporta nella corrente del cuore.
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«Gesù dimostra il Suo amore per noi nella compassione. La compassione! Dio ha compassione di noi! Patisce insieme a noi, ama insieme a noi, piange con noi! Quando sbagliamo, non ci aspetta al varco ma ci guarda con com-passione perché siamo i suoi figli e si rende conto che ci stiamo rovinando la vita da soli. Fate il paragone con i vostri figli. Quando un genitore vede un figlio che si sta rovinando, si accora, perché il dolore che patisce un genitore per il figlio è il più grande che si possa sperimentare. Per Dio è la stessa cosa: quando nel nostro egoismo prendiamo strade sbagliate e vogliamo fare a modo nostro, Dio prova compassione. Di fronte al nostro dolore ci fa una proposta di aiuto che spesso rifiutiamo. Lui sa essere umano… si commuove! Si commuove di fronte alle persone sbandate e dice: ‘Sono pecore senza pastore’ e non manda via le folle affamate, ma moltiplica i pani e li fa distribuire per sedare la loro fame! Si commuove di fronte ai bambini che, a quei tempi, fino a dodici anni, non contavano niente e dice: ‘Lasciate che vengano a me, perché chi non si fa come loro non raggiunge il Regno dei Cieli’. Si commuove davanti alle donne, anche le donne non contavano nulla ed erano trattate da schiave. Ricordate quando Gesù stava attraversando la città di Naim e vide una vedova che accompagnava al cimitero il figlio morto? Quella donna non gli chiese nulla. Dice il Vangelo che Gesù ebbe compassione, le si avvicinò e, con un impulso del cuore, risuscitò il ragazzo e lo riconsegnò a sua madre! Questo è il cuore di Dio! Pensate che tenerezza in questo cuore! Gesù è stato uomo come tutti: sulla barca si addormentò perché era stanco. Gesù ha pianto come tutti: alla morte del suo amico Lazzaro le lacrime gli inondarono il volto e il dolore fu tale che lo spinse a ridare la vita all’amico già morto da quattro giorni! Gesù ha pianto su Gerusalemme perché prevedeva cosa le sarebbe successo non accogliendo la Sua Parola. Un Dio che si commuove è una cosa che affascina! L’umanità di Gesù appare in tutta la sua grandezza anche quando credette all’amicizia fino alla fine. Pensate a Giuda, sapeva che stava per tradirlo e, nonostante questo, fino all’ultimo l’ha chiamato amico, non traditore! Dio fino all’ultimo momento della nostra vita ci chiederà: ‘Credi al mio amore per te?’. È quell’amore che ci salverà, è quel credere nel suo amore che ci redimerà. Capite fratelli miei? Il paradigma del Suo amore è il cosiddetto buon ladrone che solo per avergli chiesto: ‘Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno’ ha avuto da Gesù quella risposta stupenda che dovremmo leggere in continuazione: ‘Oggi sarai con me in Paradiso!’. Questo è il cuore di Dio! Perché pensare, allora, che il nostro Dio stia comodamente seduto in Paradiso con il fucile puntato su di noi? Dio non è così, se fosse così, mi sarei già spogliato. Invece, gli ho consegnato la mia vita, con tutte le mie precarietà, le mie miserie e i miei peccati. Se scoprissi che Dio manda le malattie, si diverte a fare morire la gente, è contento quando soffriamo… lascerei l’abito immediatamente. Si vive una volta sola ed io mi sarei messo alla sequela di qualcuno che è un trucido? Non scherziamo, è assurdo! Levatevi dalla mente quest’idea di Dio! Dio non è così. Se Dio delle volte permette certe cose, è per trarne un bene maggiore. Noi, infatti, siamo duri di cervice: finché non ci succede qualcosa di grave, non capiamo che prima stavamo bene. Allora vi ripeto, di che vi lamentate? L’idea sbagliata di Dio ci allontana dalla Sua Verità e inaridisce la nostra speranza. Viviamo in un mondo buio nel quale il cristiano ha perso le sue coordinate e non sa più quale sia il suo posto. La risposta è semplice, la strada per ritrovarlo è facile: il cristiano deve sapere usare il cuore per entrare nel cuore di Dio! Gesù ci dice con una tenerezza senza fine: ‘Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò’. Se non entriamo nell’ottica di Dio, non entriamo nel Suo cuore. È inutile snocciolare preghiere, se ripetute senza coinvolgimento diventano qualcosa di mnemonico. Noi dobbiamo vivere la Preghiera! Dobbiamo comprendere questo tu a tu con Dio anche nei momenti in cui siamo profondamente irritati. Tante persone pregano solo quando si sentono bene. Se noi non portiamo a Dio la nostra umanità, il nostro dramma, la nostra rabbia, la nostra disperazione, che preghiera facciamo? Davanti a Dio dobbiamo essere noi stessi! L’uomo è un misto di gioia e di dolore, di luce e di tenebre, di grazia e di peccato. Questo è l’uomo. Non possiamo rivolgerci a Dio solo quando ci sentiamo a posto, dobbiamo rivolgerci a Lui anche quando siamo peccatori, perché Gesù non solo accoglieva i peccatori… ma li cercava! Mentre gli ammalati glieli portavano, i peccatori li cercava Lui. Vedete che tenerezza! Che cosa sta succedendo nei nostri cuori? Perché siamo commossi? Perché un senso di benessere ci invade?... Sono gli effetti della comunione! È la comunione di una platea che condivide i sentimenti, che diviene una cosa sola con il proprio Pastore e ne comprende l’anima. Sono i segni del Cielo che invade la terra! L’umanità di Gesù, la Sua compassione, la Sua capacità di commuoversi l’avevamo sempre rilevata nel Vangelo, ma ora diventa una cosa nuova, ora ci risuona dentro. L’uomo ritiene idee, nozioni, esperienze… ma sono solo eventi, li vive nella pienezza solamente quando è illuminato, è l’illuminazione che gli fa comprendere quello che aveva solo memorizzato. È il cammino di Fede che si solidifica, che fa crescere, che converte. Ora sentiamo l’importanza dell’amicizia con il divino, comprendiamo che il colloquio personale con il Signore si chiama preghiera, che quando siamo stanchi possiamo riposare sulla spalla di un amico che si chiama Dio e che la tenerezza che ci avvolge il cuore è la strada giusta per tornare bambini e farci abbracciare dal Creatore. È vero questo nostro Dio che, come un genitore, corregge i nostri errori, che non ci vuole il bene superficiale degli uomini, ma vuole il nostro bene, quello vero che può anche allontanare per fare scaturire in cuore il desiderio di riconciliarsi e di riprendere un cammino interrotto. La chiarezza della Parola di Dio che non ama i compromessi, le ipocrisie e le indecisioni ci fa trovare la certezza di potere riprendere a sorridere il mattino, perché la notte è uno spazio breve e il sole torna a illuminare di nuovo l’universo. Padre Renzo continua a parlarci dell’amore di Dio e riesce a modulare i toni per allentare la tensione e riportarla a un livello normale.
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… Per parlare di Dio innamorato di noi bisogna usare il linguaggio degli innamorati! Voglio chiedere a tutti voi: ‘Vi siete mai innamorati?’. L’innamoramento non è solo l’incontro con una persona per eleggerla a compagno della vita, è anche una bella amicizia, l’amore per l’arte, la gioia di una vocazione, la realizzazione di un carisma o l’amore per la natura. Io spero che nel cuore vostro vi sia stata una scintilla d’innamoramento per qualcuno e per qualcosa. Chi è stato innamorato può capire che cosa significhi innamorarsi di Dio… perché l’amore di Dio sta all’inizio e alla fine della storia dell’uomo. Ascoltatemi con il cuore commosso come lo è il mio: ‘Noi siamo stati creati per un dono d’amore del nostro Dio… e il Signore verrà a riprenderci per un altro gesto d’amore’. Sovente abbiamo lo spauracchio della morte… ma la morte è solo un gesto di amore estremo. Gesù ha detto: ’Io vado a prepararvi un posto, quando è pronto, vengo a prendervi perché siete di passaggio in questo mondo’. Dobbiamo imparare a rivedere sorella morte, come la chiamava san Francesco, in una dimensione bella, sognarla come un abbraccio di Dio Padre con i suoi figli tanto amati e desiderati, perciò, salvati! Il tempo che passiamo sulla terra è solo un periodo di preparazione al Paradiso: il Paradiso è una casa che costruiamo di qua e andiamo ad abitare di là. Quindi, esorcizziamo la paura della morte, perché chi ha paura della morte, ha paura di Dio! È stato scritto che quando san Francesco morì, la luna vide morire un uomo felice, ed è vero, infatti, frate Francesco aveva raggiunto con Dio un rapporto di figlio con il padre! Quando recitava il Padrenostro, si fermava alla parola Padre e non riusciva ad andare avanti perché questa parola gli riempiva l’anima e lo lasciava muto. Allora, v’invito tutti, tornando a casa, cominciate a sentire Dio presente nella vostra vita come un Padre che ci ama e ci protegge, che vuole il nostro bene e ci attende per mettere fine alle nostre frustrazioni e sofferenze! È su questa realtà che dobbiamo lavorare, sapendo che la paternità di Dio e il Suo amore ci donano la speranza e la salvezza. Se chiediamo a Gesù chi siamo, Lui ci risponderà che siamo figli di Dio e non siamo mai soli (Io sarò con voi fino alla fine del mondo). Con Dio non dobbiamo fare anticamere! Basta socchiudere gli occhi ed entrare in di noi per metterci in contatto con Lui! Dio ci amerà per sempre! Non finché siamo buoni… per sempre! Dio ama i Suoi figli anche quando i suoi figli non si accettano e vorrebbero essere diversi! Penso che uno dei traumi più grandi che vivono le persone sia il non accettarsi. È bello quel passo in cui Gesù chiama le sue pecore una per una: Lui conosce il nostro nome e per nome ci chiama! Non siamo numeri in mezzo ad una massa anonima. Per Dio siamo unici e irrinunciabili al Suo amore! Ognuno ha un posto nella vita, nella società, nel mondo. Noi, per il lavoro, possiamo essere utili e non indispensabili, per la nostra vita, invece, siamo indispensabili! Nessuno può vivere la nostra vita. Siamo come un grande mosaico, dove ognuno è un tassello e, se ne mancasse uno, il mosaico non sarebbe finito. Perciò, dobbiamo rispettare noi stessi: essere coscienti della grande dignità che abbiamo perché siamo importanti per Dio e siamo importanti per i fratelli. Nessuno si senta escluso. In Dio non ci sono figli o figliastri. Questa cosa dovete mettervela nel cuore! Questa ultima parte del discorso è stata pronunziata con una voce pacata, lontana, commossa! La commozione dilaga anche dentro di noi. Il linguaggio degli innamorati, pensiamo, è il linguaggio che la sera pronunziamo quando abbracciamo il cuscino, quando la luce è spenta e siamo nel nostro letto. Sentiamo, allora, una corrente misteriosa che ci viene incontro, è un soffio leggero che vuole ringraziarci della fatica che abbiamo superato, è un desiderio di accarezzare o essere accarezzati da qualcuno che desideriamo fortemente accanto, ma, soprattutto, è il bisogno innato di amare ed essere amati di un amore puro, diverso, alto, tutto per noi, un amore che ci dona sicurezza… in poche parole dell’amore di Dio! Tutti sentiamo questo bisogno. Le parole che escono dalla nostra anima, in quel momento, sono fatte di poesia, sono messaggi alati che hanno il colore rosso di un tramonto d’estate e ci inebriano di luce. Questo linguaggio è quello usato da Gesù quando chiama le sue pecore a una a una… quando chiama noi per nome e ci fa sentire indispensabili per Lui. Come non accettarsi, allora, se siamo tanto importanti, se siamo un dono di Dio per noi e per gli altri? Ecco mio Dio, diciamo, ti ringraziamo del dono della vita, non abbiamo paura, vogliamo brillare nel mosaico della creazione di cui facciamo parte e chiederti: ‘Usa la tua voce dolce e appassionata quando verrai a chiamarci e fai che il nostro nome si accenda tra le stelle che brillano nei cieli di una terra nuova’. La Preghiera che cos’è? La Preghiera è stare dinanzi alla verità di Dio nella verità di se stessi, cioè così come siamo! Pregare non significa recitare preghierine, pregare è il nostro momento di comunione con Dio. Nell’orazione possiamo anche esternare il nostro risentimento, la nostra rabbia, il nostro dubbio, l’interrogativo nei confronti dell’Eterno, semplicemente perché tutto questo fa parte della natura umana, e la Preghiera è l’espressione più naturale della nostra umanità. La più piena e la più vera. Solo con il Creatore la creatura può permettersi di tirar fuori tutta la sua creaturalità senza temere di offendere Dio con i suoi sfoghi, né di essere rifiutata quando è lei stessa che sembra rifiutare o dubitare dell’amore del Creatore. È estremamente importante pregare quando il cuore è nell’angoscia. È un errore pensare che si possa pregare solo quando si è in pace con Dio o quando si è nella gioia così da potergli rivolgere frasi carine e gesti affettuosi. È sottilmente falsa anche la preghiera di chi pensa di lasciar fuori di essa quanto non è presentabile a Dio o non in sintonia con la santità dell’Eterno, cioè il nostro peccato e la nostra consapevolezza di esso. Si prega nella verità solo quando si prega dentro la storia, dentro la propria storia. L’autentica Preghiera, dunque, è quella fatta con la propria umanità, dentro i propri conflitti e contraddizioni, con le parole che svelano o dicono cosa c’è nel cuore e non con frasi fatte o prese in prestito da altri. A volte si utilizzano i libretti della preghiera, che a me danno tanto fastidio. Ma perché non pregare con la nostra spontaneità, con quello che ci passa nel cuore? Certe preghiere sono forbite, ma molto lontane dalla nostra realtà. Se siamo arrabbiati, diciamo: ‘Gesù, oggi mi rode, però ti voglio bene lo stesso, cerco di capirti’. È inutile mettersi in preghiera tutti precisi e gentili. Ci vuole pazienza per apprendere questo tipo di preghiera totalmente incarnata nella nostra storia. I momenti dolorosi di prova particolare possono e devono diventare l’habitat, la dimora abituale della preghiera. Dio abita anche là ed Egli ci aspetta lì: pure nei nostri guai. Perciò, se da oggi cominciassimo a pregare in modo spontaneo, parlando a Dio con semplicità, avremmo fatto un passo in avanti nel nostro rapporto personale con il Creatore.
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Dopo un pranzo gioioso ed anche rumoroso nel quale la gioia generale e le risate hanno riempito la sala, alle sedici e trenta ci ritroviamo nuovamente in assemblea. In molti hanno partecipato alla Liturgia delle Acque in cui il sacerdote ha invocato la benedizione di Dio sulle acque che sgorgano dal profondo della roccia e che, raccolte in vasche, hanno accolto i fedeli per un bagno purificante che li ha fortificati. Come la Madonna in quel di Lourdes aveva chiesto a Bernadette di scavare il terreno per farne scaturire l’acqua da Lei benedetta, cosi, a Collevalenza, Gesù ha guidato madre Speranza a scavare un pozzo fino a trovare la sorgente da Lui desiderata. Quest’acqua, ora, riempie cinque vasche in cui i fedeli, che lo desiderano, possono bagnarsi. L’impatto con l’acqua benedetta è come un nuovo battesimo, tonifica il corpo e rasserena l’anima. Prima di entrare nella vasca, sorretti dalle assistenti, viene recitata una preghiera che apre il cuore e commuove l’anima. Dopo l’immersione del corpo, avvolto in una tunica di lino, si è invasi da una leggerezza che ristora. L’acqua non deve essere asciugata e, spesso, rivestendosi, la pelle ancora bagnata non inumidisce i vestiti che s’indossano, essi rimangono asciutti e la sensazione dell’acqua si percepisce a lungo a ricordare di avere ricevuto una benedizione speciale dal Signore! La sala è gremita. Il deserto, il pranzo, il riposo, il bagno ci hanno ristorato e siamo pronti a continuare l’esperienza fatta la mattina. Il pensiero generale è incuriosito da quello che padre Renzo potrà donarci ancora… a ognuno sembra di avere ricevuto tutto e che, ormai, le emozioni possono considerarsi esaurite… come si può, infatti, resistere a lungo sulla corda di un violino che vibra? Niente di più sbagliato… la fantasia di Dio è senza limiti e il Signore è così contento di quello che l’oratore è riuscito a comunicare parlandoci di Lui nella mattina, che lo illumina ancora per farci vivere esperienze nuove e inimmaginabili.
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Vorrei affrontare un altro tema - dice padre Renzo - quello del dolore. Forse in occasione del prossimo incontro parleremo di questa realtà: il dolore come lo vede Gesù. Faremo un ritiro sul dolore perché è qualcosa che tocchiamo con mano tutti i giorni, che incontriamo e con cui ci scontriamo. Dobbiamo capire, alla luce della fede, come affrontare il dolore e come conviverci. Perché è inutile continuare a scacciarlo. Dobbiamo integrarci nella sua realtà. Gesù non amò il dolore è il titolo di un articolo inserito nel libretto, ed è vero! L’affermazione: ‘Dio non può esistere, se esistesse sarebbe cattivo’ è una delle obiezioni più serie che pone l’ateismo di fronte alla realtà del dolore. Ci si chiede: se Dio esiste come può permettere i massacri, come può desiderare che un bambino muoia o che un medico sbagli? Andiamo in crisi tutti, anch’io non sono mai stato indifferente a questo tema, soprattutto quando, lavorando in ospedale, ho visto morire dei bambini. La mia vocazione è nata dalla morte di una bambina. La mamma era morta di parto, lei dopo un po’ è morta di epatite fulminante. Quella morte, forse, mi avrebbe potuto allontanare dalla Chiesa, invece, fu proprio quella morte a spingermi a cercare qualcuno con cui parlarne, pur con la rabbia in petto. È stata la scintilla che Dio ha sfruttato per farmi capire quale fosse la mia strada. Era la vigilia di Natale e mi misi in cerca di un sacerdote. Dopo diversi tentativi infruttuosi, entrai, per caso, in una Chiesa dove, finalmente, trovai un sacerdote disponibile e da lì è scattata la mia vocazione… non ho capito subito quale fosse la mia strada… è stata però la prima volta che mi sono fermato, che mi sono messo di fronte a me stesso ed ho cercato di interrogarmi e di capire. Dio non mi ha mandato l’arcangelo Gabriele… è stato tutto faticoso. In verità la scintilla iniziale si accende per tutti, dobbiamo solo stare attenti a captarla e farla nostra. Ecco perché vi dico continuamente: siate presenti a voi stessi. Abbiamo però una capoccia dura… siamo attaccati al passato, proiettati nel futuro con le ansie del domani e non ci godiamo mai l’oggi. Ricordate: Dio ci manda le grazie per l’oggi, per questo quotidiano! Oggi riceviamo la grazia per vivere questo ritiro! Dicevo che il dolore che ho provato per la morte di una bambina affidata alle mie cure è stato sfruttato da Dio per attrarmi a sé e farne scaturire del bene. Che il male possa tramutarsi in bene ce lo insegna anche la natura. Adesso è inverno, pensate alle povere piante che perdono le foglie e che avrebbero bisogno di essere avvolte per non soffrire il freddo; pensate agli agricoltori che potano le piante e ci dicono che, la pianta, quando è potata, soffre perché le viene tagliato il ramo e, addirittura, si dice che pianga, tanto è vero che le fuoriesce la linfa; a primavera e in estate, però, le piante che danno i fiori più belli e i frutti più gustosi sono quelle che sono state potate, quelle che hanno sofferto! La sofferenza è spesso foriera di una nuova fioritura. Se non si potasse la vigna per evitare di farla soffrire, non avremmo più vino. Di fronte al dolore, l’unica risposta è quella della fede. Non vi sono altre risposte. Io tremo quando incontro i genitori che hanno perso un figlio: è il dolore più grande che il cuore umano possa sopportare, non ce n’è un altro! Voi che avete figli, cosa provereste se a un certo punto vi venissero a mancare? Si può impazzire! Perciò vado a confessarmi prima di celebrare la Messa per i figli di questi nostri genitori. Ci si deve andare con un cuore talmente puro e talmente libero da essere capaci di sostenerne la pena senza permettersi di dire parole sbagliate. Delle volte, preferisco stare in silenzio e non consolare. Solo la fede può dare una speranza e qualche risposta. La realtà del dolore accompagna la vita, tuttavia si deve sfuggire al pericolo di santificare il dolore, di amare la sofferenza come semplice risposta a questo tremendo problema. Non potendo trovare una risposta adeguata, molte volte, è sembrato logico al popolo cristiano pensare che il dolore fosse un bene e che fosse necessario all’uomo: questo è un grande errore. È una grande tentazione che bisogna allontanare! L’abbiamo giustificata con l’esempio che Gesù morì di una morte orrenda, la morte di croce. Ecco, allora, da cosa deriva il cordoglio di chi vive nella Chiesa, ecco perché è nata una spiritualità vittimistica! Il dolore, persino quello fisico, è stato elevato a categoria di bene cristiano ed è terribile pensare che Dio possa godere della nostra sofferenza! Questa è la più grande bestemmia che si possa proferire. Ma com’è possibile solamente pensarlo? Siamo i figli del Dio della vita! Dio soffre con noi quando noi soffriamo. Anche la Madonna, pur sapendo che Gesù era il figlio di Dio e che sarebbe risorto, sotto la croce è morta dentro come tutte le mamme e come tutti i papà perché vedeva soffrire il figlio e non poteva fare niente per aiutarlo! Spesso anche la preghiera, il dialogo personale con Dio, lo avvolgiamo nel sacrificio perché sia più gradito a Dio e questa è una grande stupidaggine. Dio disse: ‘Non sapete che preferisco la Misericordia al sacrificio?’. Tanti pensano di lodare Dio facendo i cosiddetti fioretti… il sacrificio più grande, quello che gradisce il Signore, è la Misericordia, ossia accogliere gli altri, sopportare gli altri, volere bene agli altri. Dio non gradisce le penitenze strane. Tra pochi giorni, per esempio, comincerà la Quaresima e tanti mi dicono che per penitenza non mangeranno la cioccolata… ma che cosa importa al Padre Eterno se non mangiamo la cioccolata?! Ti piace? Mangiala! È contento pure Lui. Il Padre Eterno vi chiede di volere bene agli altri, questo è un sacrificio! Di essere più umili e tacere quando vorremmo aggredire qualcuno, queste sono penitenze valide! Certe penitenze da noi inventate sono piene di egoismo… la dieta fa bene alla nostra linea e non al Signore. Quella carne che non mangiamo il venerdì - la carne anticamente era un bene prezioso - la dobbiamo offrire ai bisognosi, allora ha un valore di Misericordia! Non mangiare la carne per sostituirla con una bella aragosta è un volere prendere in giro nostro Signore. Io che non amo la carne, se in Quaresima mangiassi tutti i giorni pesce… una bella frittura, una bella orata in crosta di pane... prenderei in giro me stesso e Dio! È una forma d’ipocrisia! Dio preferisce la Misericordia al sacrificio. Perciò in questa Quaresima il nostro compito è quello di rivedere il nostro rapporto con gli altri per fare rinascere la comunità e risorgere con Gesù Cristo. Anticamente, Dio era colui che si placava con la giustizia, non con la misericordia. Era il Dio che aveva sì creato l’uomo, ma l’aveva messo al mondo per soffrire e non per godere. Il Dio che chiamava sempre verso la valle di lacrime e non verso il Paradiso. Quel Dio non è cristiano. Se Dio fosse così, io mi sarei già spogliato. Gli ho dato la vita mia, il bene più prezioso che ho, e mi sarei fatto frate per un Dio che gode quando soffro? Non è pensabile! La fede deve aiutarci a essere felici. Poi, arrivano i momenti di prova per tutti. Li possiamo superare, però, con la consapevolezza che, se Dio permette qualche male, - lo permette ma non lo vuole - lo fa in quanto, come dice san Paolo, tutto coopera al bene per coloro che amano Dio. Non cerchiamo il dolore per il dolore! Nel passato, per questa idea sbagliata del dolore, alcune suore, che erano stupende, si sono sfregiate pensando che la bellezza fosse contro Dio mentre, invece, la bellezza è stata creata da Dio! Nella preghiera ‘Il Dio in cui non credo’ Arìas dice: ‘Io non posso credere in un Dio che condanni la materia, che sorprenda l’uomo in un peccato di debolezza’, leggetela perché è meravigliosa, è una preghiera che cancella tutte le idee sbagliate che abbiamo di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di dire che il dolore non è cristiano e che Dio non amò il dolore. Dobbiamo testimoniare che le lacrime le abbiamo create noi uomini e che Dio non ha mai benedetto le lacrime da noi seminate sulla terra che dovrebbe essere un Paradiso perché in Dio non esiste altro che felicità! Gesù stesso ha solo sopportato il dolore. Nell’orto degli ulivi, quando sapeva che lo avrebbero condannato, disse: ‘Se possibile passi da me questo calice’. Addirittura ha quasi rimproverato il Padre quando sulla croce ha detto: ‘Perché mi hai abbandonato?’. È come se avesse gridato a Dio: ‘Che senso ha questa sofferenza?’. Che poi noi superiamo il dolore con l’aiuto di Dio è un’altra cosa, ma uno che ama il dolore per il dolore vuol dire che è un masochista e Dio non ama i masochisti. Gesù non è venuto a elevare il dolore a categoria di bene, non è venuto a benedire, né a santificare il dolore. È venuto a insegnarci che il dolore non deve portarci alla disperazione, perché esistono valori tanto più importanti che nemmeno il dolore è capace di eliminare. Gesù è venuto a salvare l’uomo, a insegnarci che la vera dimensione della felicità è aprirsi alle Sue parole. Se Gesù ha sofferto il dolore, pur di non rinunciare alla dinamica dell’amore, non è stato certamente per insegnarci a soffrire, ma per insegnarci ad amare. Non ha detto: ‘Soffrite come io ho sofferto’ ma ‘Amatevi come io vi ho amato’. La voce di padre Renzo si è interrotta bruscamente in un singhiozzo trattenuto appena... la sala lo sostiene con un applauso! Quanto dolore nella sua vita! Quante prove superate! Quanta misericordia data agli uomini e ricevuta dal Signore! Eppure, non ha mai perso la speranza e, come dice san Paolo parlando di se stesso, ha sempre mantenuto la fede! La fede è un dono di Dio! Non sono le prove, le ansie, le difficoltà o le arrabbiature quotidiane che possono farla tacere! La fede è un virgulto debole con le radici forti, quello che appare fuori dal terreno è solo una pianticella sofferente e timida, esposta alle intemperie, ma è quello che si radica sotto terra e si aggrappa al terreno che l’alimenta e la sostiene! Certo il dialogo appassionato da lui avuto con Gesù sarà derivato dalla sofferenza altrui, non dalla sua! Stando a contatto con il dolore degli uomini, a volte, ci si sente travolti, ma poi basta alzare gli occhi verso un cielo azzurro, basta respirare nell’aria il profumo inebriante dei fiori che si aprono al sole o ascoltare il richiamo gioioso degli uccelli che si lanciano messaggi d’amore, per sentirsi invadere dalla bellezza del creato e ringraziarne il Creatore. Gli ascoltatori hanno recepito la sensibilità dell’oratore e ne sono rimasti commossi perché vi hanno trovato l’uomo che sa essere debole e forte, dolce e severo, umile e sicuro, adulto e bambino, sempre mosso da un motivo portante: seguire Dio con gioia, abbandonarsi alla Sua volontà costi quel che costi! L’insegnamento che tutti recepiamo è uno solo: sapere andare oltre! Oltre le paure, oltre le debolezze, oltre le prove per acchiappare il BENE e viverci dentro!
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Il problema non è avere una vita più o meno breve, è il senso che le diamo, è la sua qualità che dobbiamo guardare. Tanti sono arrivati a novant’anni ma hanno combinato solo guai, invece, altri sono morti a vent’anni e hanno lasciato un ricordo di sé pieno di risonanze belle… possiamo dire che questi ultimi hanno veramente vissuto. Non bisogna essere pessimisti ma realisti, l’importante è prepararsi al nostro incontro con il Signore! Spero che le cose che ci siamo dette oggi ci aiutino a fare un salto di qualità. Quando diremo la Messa, vorrei che portaste nel cuore di Gesù tutti i vostri pensieri perché sia Lui a guidarci nel nostro cammino. Cammino difficile… però Gesù ha detto che a Lui niente è impossibile! Se ci accostiamo a Lui con umiltà, semplicità e fede… disarmiamo Dio. La debolezza di Dio è la nostra capacità di chiedergli perdono: di fronte ad un figlio che gli chiede perdono, Dio si squaglia! Allora, nel Santuario del perdono e della Misericordia, dobbiamo avere questa capacità! Perciò invito tutti, tra oggi e domani, ad accostarsi al sacramento della riconciliazione. Quello è il canale che Dio sfrutta, non solo per perdonare i peccati, ma anche per darci le grazie per andare avanti. Abbiamo bisogno, giorno per giorno, di avere il Suo sostegno per portare avanti la nostra vita.
(...) La catechesi di fra Renzo è terminata, ora tocca a noi! Tocca a chi ha ascoltato tirarne fuori i frutti, comunicare le risonanze del suo cuore. Siamo tutti diversi, ognuno ha un proprio modo di recepire le cose, le esperienze fatte non sono omogenee, ma sono complesse e personali. Solo confrontandole si possono vivere tutte le angolature della realtà spirituale che è patrimonio del popolo di Dio. Gesù ha voluto affidare a ognuno una missione, siamo stati creati per essere missionari e, per fare ciò, dobbiamo comunicare. Forse la parte più emozionante del nostro ritiro è proprio quella che inizia adesso: stiamo per toccare con mano come la Parola di Dio sia una grande orchestra che usa gli strumenti di cui ognuno è dotato e li fa vibrare con toni differenti in una sinfonia: il Direttore d’orchestra è sempre Lui, il Signore, ma la musica la facciamo noi, i suoi figli! (...) L. B.Nessuna frase può introdurre meglio la testimonianza di L. di quella che Gesù risorto disse agli Undici quando apparve loro in Galilea: ‘…Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo’ (Mt 28, 20). Nel pronunciare queste parole, nostro Signore voleva donarci la sicurezza che non ci lascia mai soli, la speranza che il nostro passaggio sulla terra è solo un appuntamento a breve con il Cielo e, anche, trasfonderci la forza di superare ogni ostacolo che si frappone tra noi e la promessa dell’incontro finale con Gesù che ci ama! L. è la gemma preziosa del nostro cammino di fede che si è incastonata nel nostro cuore. Nel ritiro fatto a Subiaco, nel Santuario di Santa Scolastica dal 10 al 12 settembre del 2010, il Signore ci aveva donato il privilegio di conoscerla e la sua risonanza ci aveva commosso. Da allora è rimasta nel nostro affetto e tutti l’abbiamo accompagnata con la preghiera giornaliera. L. è venuta con il marito a questo incontro di Collevalenza per portarci il sorriso di chi si sente amato da Gesù. La guardiamo con gioia: è bellissima, irradia una luce interiore che incanta, la serenità del suo volto ci conferma che la Grazia di Dio non solo fa esultare l’anima, ma trasforma anche l’aspetto esteriore della persona. Questa creatura di Cielo ci parla con voce pacata lasciandoci il suo testamento che è un inno alla vita, ci testimonia che Gesù è con noi oggi, domani e sempre, che è con noi per amarci, per seguirci, per tessere gli incontri della nostra esistenza e distribuire in terra la Sua misericordia. Lui è la via, la verità, la Vita! Su questa sicurezza si radica la nostra fede, questo è ciò in cui L. ha creduto prima di chiudere i suoi occhi in terra e abbandonarsi all’abbraccio tenerissimo di Gesù che se l’è venuta a prendere il 28 Maggio 2011. «Questa volta vengo con mio marito - inizia L. - e sono venuta a ringraziarvi. La volta scorsa ero venuta perché avevo bisogno di un momento di stacco e avevo lasciato la mia testimonianza. Sono malata di tumore da cinque anni. Quest’estate ho avuto un momento molto difficile in cui mi è stato comunicato che non ce l’avrei fatta. Quando sono venuta allo scorso ritiro, non era passato nemmeno un mese da questa notizia che padre Renzo sapeva perché una mia amica gli aveva chiesto di pregare per me. Ora, da quando ho lanciato questa testimonianza, sono accompagnata dal fans’ club - così lo chiamo io - della vostra comunità che prega per me. Non frequento assiduamente perché, spesso, per un mio pudore, ho temuto che in questa mia storia, che sento tanto pensata dagli altri, diventi poi troppo protagonista e, a volte, ho paura. Però li sento i pensieri degli altri! E, quindi, ho deciso che questa volta, pur non conoscendo il tema, sarei venuta con mio marito, prenotando addirittura con un mese di anticipo - che è una cosa che non mi concedo mai, perché il tempo è per me una grazia. Volevo che mio marito conoscesse l’idea di comunità, cioè la sensazione di essere accolti da qualcuno, la sensazione di portare a casa il pensiero di qualcuno che prega, anche se non lo vedi, perché io le preghiere le sento… non mi prendete per matta, mi arrivano, e poi sono accompagnate da segni tangibili che vi racconto brevemente. Stamattina, quando hai distribuito il libretto, le prime due cose che ho letto sono state le poesie e il capitolo: ‘Gesù non amò il dolore’ e ho capito il perché sono venuta e mi sono detta: ‘Ho fatto bene a venire!’. A me e a mio marito il dolore ci ha diviso. Nella nostra famiglia, tra me e lui, la sofferenza è stata, ed è tutt’ora, un elemento di difficoltà enorme, di tensione, di conflitto, di disperazione. Perché non siamo più complici, perché non possiamo più raccontarci l’uno con l’altro cosa proviamo. Perché se io sono disperata, nel momento in cui lo racconto a lui faccio disperare anche lui e, nel momento in cui lui è disperato, se lo racconta a me, fa disperare anche me. Quindi, invece di unirci, il dolore ci separa. Il capitolo di Gesù che non ama il dolore a me è servito tantissimo perché uno dei motivi della nostra separazione è stato che io, nel momento del dolore, della comunicazione della mia malattia, ho avuto uno strano cambiamento che lui non ha seguito con lo stesso tempo e con le stesse mie caratteristiche. In maniera un po’ pazza, la sera che mi è stato comunicato quello che avevo, con la gravità da cui era connotato, io sono tornata a casa (questo cinque anni fa) e ho passato la notte telefonando alle persone, dicendo che avrei affidato loro mio figlio piccolo, perché il tumore l’ho avuto in gravidanza. Allora, la prima cosa che ho fatto è stato di prendere una matita e scrivere una frase sul letto di camera mia, senza rendermi conto di quello che stavo scrivendo. Nei giorni successivi, mio marito ha ripassato a tempera questa scritta (lui dipinge) e la scritta è: ‘Dio ci ama’, che ovviamente non ho più cancellato! Io la metto in dubbio un giorno sì e uno no, però sta là tutte le mattine e per me è estremamente significativa. Io ci ho creduto da subito. Però, per mio marito e per tante persone che mi sono state vicine e che, poi, si sono allontanate, il dolore ha avuto la prevalenza sul pensare a una forma di amore dietro questa mia disgrazia. Io ho avuto immediatamente la sensazione che fosse qualcosa che avesse un fine di bene: che fosse un dolore che però era connaturato da questa frase, dal fatto che Dio mi amava. Lo vivo tutt’ora così. Lo vivo con lo stato di grazia di una a cui, da due settimane, hanno fatto una tac e le hanno detto che ha un fegato la cui malattia metastatica si è fermata, che però si è ingrossato quattro volte tanto. I medici non volevano farmi la tac per non spaventarmi e hanno scoperto, invece, che la parte che si è ingrossata è la parte buona che tenta di compensare il malfunzionamento di quella cattiva. La mia battuta è stata: ‘Se muoio è perché scoppia quella buona; muoio di vita, non muoio di malattia’ e questo lascerà un bel ricordo a mio figlio. Perché io ci tengo che la cosa che mi rappresenti sia la vita e non la malattia. Mio marito mi ha identificato troppo nella malattia e ha pensato, più lui di me, che Dio non mi amasse, o che non ci amasse. Io sono convinta del contrario, anche se sono la prima che si è castigata dicendo: ‘È perché ho sbagliato, perché ho peccato quella volta, perché sono stata cattiva, perché non sono andata a Messa in maniera sincera… perché ho fatto una serie di cose’. Io li conosco i miei peccati, però non credo che Dio li abbia contati. Credo che Dio stia sopra il mio letto in quella frase che io, tutt’ora, non riesco a spiegarmi. Vi racconto un’ultima cosa che è successa dopo che ci siamo visti a settembre. Ho fatto un sogno. Ho sognato che ero a Lourdes e che lì c’era un tavolo simile a questo con dietro i medici e, dall’altra parte, le persone malate che attendevano il responso della terapia che dovevano seguire. In fila c’ero pure io. A tutti dicevano quale fosse la cura da fare, arrivato il mio turno, sulla cartella clinica c’era solo scritto: ‘Benedizioni, possibilmente papali’. Nel sogno m’incazzo, scusate il termine, da morire. Ero arrabbiatissima: ‘Perché per me non c’è niente da fare, perché a me dite questa cosa?’. Sentivo che la medicina non aveva più niente per me. Quando mi sono svegliata, ero tranquillissima. In effetti, adesso partecipo alla Messa fino all’ultimo secondo perché la benedizione si prende all’ultimo secondo, quindi, non vado via prima, mai più. Vado a Messa tutti i giorni e prendo le benedizioni e mio marito a Natale mi ha regalato la possibilità di andare dal Papa. E ho detto al Papa: ‘Io sono qui perché ho bisogno di una benedizione speciale’ e lui me l’ha data. Realizzare quel sogno è il segno che Dio mi ama. Io ho creduto fortemente a una cosa che è avvenuta nello spazio della notte, come diceva quel ragazzo nella sua testimonianza, quando forse sei da solo, quando Dio ti parla di più… non lo so. Volevo raccontare questa storia perché, come ci diceva Maria Teresa, stiamo preparando il giornale delle buone notizie: mi ci mettete? Non so se morirò domani mattina o fra tre mesi come dicono i medici. Non lo so, non mi interessa più! Quello che so è che morirò perché scoppio di parti buone e non perché scoppio di parti cattive. E questo mi sembra un buon motivo per avere vissuto». Il silenzio commosso avvolge la sala. Nel cuore di tutti non esiste dolore, la commozione che sentiamo non è causata dalla condivisione di una sofferenza, ma dalla gioia di essere persone: una gioia pura, profonda, radicata nella fede e nella speranza. Padre Renzo tace, non è facile commentare questa testimonianza, forse perché non ha bisogno di commento: è la sintesi della sua catechesi che si è fatta realtà, è la dimostrazione che il titolo che ha voluto dare al suo ritiro è vero, esemplare, fecondo perché che Dio è vicino e ci ama ce lo ha dimostrato il racconto di L. «È tosta! - inizia fra Renzo dopo un gran respiro. L. diceva che non viene spesso per non stare al centro dell’attenzione. Però, Dio non ci lascia soli nel momento del bisogno. Succedono delle cose che sono più grandi di noi e che non sappiamo spiegare. Anch’io, nel mio piccolo, ho ringraziato Dio di quello che mi è successo l’anno scorso quando mi hanno operato di un tumore al ginocchio e capisco L. Allora, con tanta delicatezza e con tanto silenzio, dobbiamo continuare a pregare perché L. fa parte della nostra famiglia e Gesù ha detto: ‘Chiedete e vi sarà dato’. Poi, Gesù sa distribuire quello che gli chiediamo secondo i bisogni. Ci vuole una fede che sposta le montagne: è difficile, non c’è una spiegazione al dolore! Dobbiamo fidarci di Dio contro ogni speranza ed è per questo che siamo cristiani! Accettiamo quello che succede, però dobbiamo fare tutta la nostra parte. Come dice il proverbio: ‘Aiutati che Dio ti aiuta’, è questa la parte più importante. A volte, il bene pensato da Dio per noi non corrisponde a quello che vogliamo noi. Vi ricordate quando portarono a Gesù quello storpio? Gesù non gli disse: ‘Guarisci’ ma ‘Ti sono perdonati i tuoi peccati’. Istintivamente, nella sofferenza, uno è portato a dire: ‘Cosa mi importa dei miei peccati?’. Poi, Gesù ha fatto anche il miracolo: ‘Per farvi capire che io posso rimettere anche i peccati ti dico: prendi il lettuccio e va’. La prima cosa che sta a cuore a Dio, però, non è tanto il nostro benessere fisico - anche se è contento quando stiamo bene - ma è ciò che dura per sempre. Chi ringrazia Dio per il dono della salute? Quanto trascuriamo la nostra salute con mille stupidaggini: con il bere o, anche, con la mancanza di riposo. Non riposare abbastanza è un peccato. Dobbiamo concedere al corpo il riposo perché, riposandoci, ci rigeneriamo. Solo quando ci succede qualcosa di grave, ci rimproveriamo di non essere stati più attenti. Chi ringrazia Dio del dono della vista? Che possiamo camminare, mangiare, che possiamo avere dei bei rapporti interpersonali? Questo mi preoccupa: è possibile che debba caderci addosso una tegola per dire che stavamo meglio prima? A una sorella che ci dice, in un contesto così, quello che ha detto, io rispondo: ‘L., che Dio ti benedica con tutto il cuore! Sei una grande! Questo te lo dico da fratello, da sacerdote e da uomo. Sei una grande perché tanti di noi, quasi tutti penso, di fronte a una cosa del genere si sarebbero terrorizzati senza ritegno’. Siamo onesti: siamo bravi a consolare gli altri, ma se succedesse a noi? La cosa più rispettosa è il silenzio. Qui c’è Daniela B., la moglie di Paolo, grande amico mio, era il capo dell’allegria. All’improvviso è morto per un tumore del quale si sono accorti troppo tardi (lui non si lamentava mai). Sono andato a fare il suo funerale (avevo trentotto di febbre quella mattina, ma ci sarei andato pure in ginocchio). Alla fine della cerimonia dissi: ‘Ci volete veramente bene? Ognuno stia al posto suo. Avrete tempo i giorni che verranno per le condoglianze, in questo si vede se la testimonianza della vostra presenza è vera’. Sono stati tutti obbedienti. Daniela è venuta in sacrestia aspettando che mi cambiassi. Quando siamo usciti, la gente era ancora al banco e ci ha lasciato passare nel silenzio più totale. In certi momenti non bisogna soffocare chi soffre. Stargli accanto con compostezza vale più di ogni parola, a volte parlano di più gli sguardi. Pensate sempre: se succedesse a me come reagirei? Dice Gesù: ‘Non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi’. Anche questo è Vangelo. Perciò, grazie L. perché ci aiuti ad affrontare la vita. Grazie, soprattutto, che sei venuta».
Pochi giorni prima di dare alle stampe questo libro, come folgore a ciel sereno, ci è arrivata la notizia che L. è stata portata in Paradiso da quel Dio che lei aveva riconosciuto come amico e del quale aveva sottolineato l’amore nella scritta, rimasta per cinque anni sul capezzale del suo letto, che asserisce: ‘Dio ci ama!’. ‘Non si turbi il tuo cuore – le aveva sussurrato Gesù – nella casa del Padre mio vi sono molte dimore, io vado a prepararti un posto e, quando lo avrò preparato, tornerò a prenderti’ (Gv14, 1-6). Il Signore le voleva dire: quando sarai pronta per il Paradiso, io ti verrò a prendere per darti la Vita Eterna. Ci viene in mente la risposta che Gesù diede a madre Speranza quando gli domandò che ricompensa dovesse dare al giovane che aveva posato come modello per il Suo Crocefisso, Gesù rispose: ‘Sarò io la sua ricompensa’ e dopo due giorni se lo portò in Paradiso. Nonostante sia difficile convivere con il vuoto che una persona così completa e amabile lascia nella nostra esistenza, comprendiamo che Gesù si è fatto ricompensa per l’amore che L. ha trasfuso nella sua famiglia, nei suoi pazienti, nei suoi alunni, amici e conoscenti… in chiunque l’abbia incontrata! Gesù, Vita che vince la morte, Vita che sconfigge il dolore, Vita che libera la vita dalla malattia e la restituisce alla salute eterna, ha trasferito in Sé la vita di L. e l’ha resa immortale, l’ha abbracciata per sempre perché da sempre l’aveva amata di un amore eterno. L. è viva! È scoppiata di vita e non di malattia! È in Paradiso e continua a seguire il suo piccolo G., a proteggerlo e a parlargli d’amore, è vicina a suo marito al quale ha voluto consegnare la sua testimonianza di fede e di vita a Collevalenza, è vicina a noi tutti e continuerà a sorriderci. Tutte le preghiere che abbiamo consegnato per la sua guarigione al Padre nostro che è nei Cieli, ora L. ce le restituirà in grazie di serenità e di pace. Noi non chiediamo a Dio perché ce l’ha tolta, ma lo ringraziamo perché ce l’ha data. Nel ricordare il suo volto sereno e sorridente ci sembra di udire la sua voce che ripete per il suo bambino, per il suo sposo, per i suoi genitori e anche per noi le parole di Sant’Agostino che ci consolano e ci dicono:
LA MORTE NON È NIENTE
La morte non è niente. Sono solamente passata dall’altra parte. È come se fossi nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare, parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste, continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami, il mio nome sia sempre la parola familiare di prima, pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto, è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza, perché dovrei essere fuori dei tuoi pensieri e della tua mente solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene, ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime, non piangere se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace. (...) |