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Vita! Tenera foglia verde, gentile, irrorata dalla linfa che ti dà alimento, sei attaccata a un ramo con una presa tenue, sei sbattuta dal vento, percossa dalla pioggia, riscaldata dal sole! Basta che una mano distratta ti tiri con violenza tu ti stacchi, deperisci e muori. Eppure, per un gioco del mistero non penetrato dalla nostra mente, sei tutelata, curata, amata dal Signore. Lui ti tiene salda, incollata al tuo ramo, ti mantiene libera, piena di bellezza e non permette che tu sia strappata se puoi servire ancora per mostrare il verde del tuo cuore a chi ha perso la speranza in te.
Con questi versi si apre il libro "In cammino verso il Paradiso" e il lettore inizia il grande viaggio all'interno di se stesso alla scoperta di ciò che è essenziale nella vita. Mettersi in relazione con il mistero della Creazione, partendo dalla Genesi, ci aiuta a trovare quei valori umani e divini che sono irrinunciabili per una vita serena e orientata verso l'eternità. Il viaggio che facciamo nella vita parte da Dio per ritornare a Dio. Tornare a Dio è il destino dell’uomo, perciò, la vita è tutta una preparazione a quest'incontro definitivo con il Creatore. Il libro traccia la bellezza, la forza, la portanza del nostro tempo scandito dalle ore, dal sole che nasce e che tramonta. Quando le ore finiranno di scorrere e di scandire il tempo ci ritroveremo nel presente eterno, non più chiamato “tempo” ma “eternità”. Allora, sarà bello riconoscere i volti che ci hanno sorriso, che hanno condiviso con noi gioie e dolori, che noi abbiamo accolto come fratelli e che con noi hanno camminato fino alla soglia che conduce “all’Al di là”. La vita non è nostra, appartiene a Dio, e Lui non ce l’ha donata per un giorno, né per alcuni anni, ma “per sempre”. Portiamo ora i lettori ad assaporare alcune parti del testo. |
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Dio creò il cielo, le stelle, il mare, la terra e l’universo intero… poi creò l’uomo e la donna e fu così felice che si riposò. Il suo riposo è sinonimo di esultanza e la Bibbia lo sottolinea dicendo che “Egli sentì di avere creato qualcosa molto buona”, infatti, aveva immesso in queste due creature una scintilla della sua divinità rendendole simili a Lui. Il primo atto che fece dopo la loro creazione, fu quello di mettere la coppia al centro dell’universo, di benedirla e dare loro il dominio su tutta la terra perché se ne servisse e la conservasse con lo stesso amore con cui Egli l’aveva creata. Poi, accese nel cuore dell’uomo e della donna la fiamma sacra dell’amore e chiese loro di generare amore perché li aveva creati come esseri sessuati, la Bibbia dice: “Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” Nel progetto di Dio la sessualità è un dono sacro da custodire con delicatezza e rispetto perché solo attraverso essa si può essere collaboratori del mistero divino della creazione. “Maschio e femmina li creò” recita la Genesi, due individui distinti, unici, irripetibili che, uniti in una sola carne, attraverso un gesto d’amore, sono capaci di moltiplicare quella vita e quell’amore nati da Dio, donati all’uomo gratuitamente e destinati a durare per sempre. L’uomo e la donna sono stati creati per vivere in relazione come esseri complementari tra di loro e con gli altri. Dio è amore e, immettendo nell’uomo la sua sostanza divina, vi ha immesso la forza portante della vita umana: ossia la forza di amare. Essa è una forza immensa che va riconosciuta, esercitata, protetta, curata e potenziata. Più si pratica più essa si arricchisce, cresce e genera vita intorno a sé. Se manca questa forza, l’uomo muore a se stesso, trascina la sua esistenza nel desiderio disperato e irrealizzato di sentirsi vivo: cioè di poter ricevere e donare amore. Da questa incapacità derivano le gravi patologie dell’anima che impediscono al corpo di essere sano. Il soffio creatore ha immesso nel corpo dell’uomo l’anima, cioè lo Spirito, e lo ha innestato in esso così profondamente da poter ben dire che anima e corpo siano un’unica realtà. Lo Spirito è amore ed è una forza unificante che traluce se stesso attraverso il corpo, ne accende gli occhi e li fa brillare, ne addolcisce i gesti, rende delicato il suo linguaggio che sussurra piano le parole del cuore, ne cambia il sembiante: il viso si distende, s’illumina in un sorriso interiore e divinizza l’intera persona.
[...] “L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne” Quale forza può spingere l’uomo e la donna a staccarsi dalla propria casa, dalle proprie abitudini, dalla propria libertà, dal proprio io per diventare un noi, per accogliere un altro mondo e sposarlo, amarlo e condividere con esso quello proprio? Solo la forza divina dell’amore può arrivare a tanto! Chi ama veramente, cristianamente, umilmente, appassionatamente, ha un solo desiderio: quello di unirsi per sempre in matrimonio con l’essere amato, perché l’amore chiede di non avere fine e il rapporto di coppia cristiano non può fare a meno di quel “finché morte non vi separi”. Ecco, quindi, che il matrimonio per il credente diviene l’ambito in cui vivere l’amore di coppia come segno sublime dell’amore di Dio. [...] Gli sposi iniziano il loro cammino di vita attraverso la conoscenza e l’accettazione di se stessi. Solo mettendo a confronto le loro somiglianze e le loro differenze, studiando i loro limiti, i loro difetti e le loro positività, essi possono conoscersi, accettarsi reciprocamente, maturare insieme, assumere i loro ruoli nella famiglia in sintonia con i loro talenti e diventare coppia. Il volersi bene, allora, cambia sembianza, si spoglia di ogni egoismo, di ogni narcisismo, di ogni personalismo, di ogni privatismo, esibizionismo, genitalismo, edonismo per diventare dono di se stessi per il bene dell’altro. Per volere il bene dell’altro, quindi, è necessario partire dall’accettazione della sua persona così come è, sorridendo ai suoi difetti con tenerezza e rispettando la sua scelta di amare l’altro nella verità di se stesso. Tanti matrimoni falliscono perché si va al matrimonio con gli occhi bendati. Nel periodo del fidanzamento ciascuno si racconta in modo diverso da quello che realmente è attribuendosi qualità che non possiede e inducendo nell’altro un’idea sbagliata della propria personalità. Questo è un dramma perché quando si accoglie come sposo/sposa l’idea sbagliata che uno si è fatto del coniuge, l’amore iniziale viene immediatamente tradito, subentra la delusione e la fiducia muore. Se, invece, si conosce l’altro nella sua verità, ogni gesto di amore fatto diventa un gesto sacro. È l’agape, è l’estasi. Questo stato di grazia ispira i comportamenti reciproci e rende capaci di rispetto e di pazienza, spinge a prevenire i dissapori, ad alleviare la stanchezza altrui tacendo le difficoltà incontrate nel corso della giornata e non infierendo sulla diversità di opinioni. Il momento in cui si concepiscono i figli, allora, diventa grandioso, misterioso e divino! Tenere tra le braccia il proprio bambino che non sarebbe mai nato se non ci fosse stata l’unione dei due sposi, fa sentire l’amore un dono sacro. [...] Molti credono che il peccato di Adamo ed Eva sia stato un peccato sessuale, ma ciò è smentito da tutta la storia biblica che ha visto Dio rincorrere le sue creature, mendicare il loro amore, permettere la passione e morte del suo Figlio amato per ricondurre tutti gli uomini alla Sua casa. La Chiesa sessuofoba ha indotto l’uomo ad avere paura del Suo Creatore, a vergognarsi dell’Amore e, tuttora, nella confessione, un gran numero di persone considera il richiamo sessuale l’unico peccato da confessare. Noi abbiamo ricevuto un corpo sessuato e in esso Dio abita. Non esiste alcun corpo senza spirito e alcuno spirito senza corpo. Quando stiamo male nel corpo, anche lo spirito soffre, e quando lo spirito sta bene, anche il corpo sta bene. Oggi le persone difficilmente accettano il loro corpo e tentano di modificarlo. Così lo allargano, lo riempiono, lo smussano, lo cambiano. La chirurgia estetica si arricchisce sulla nostra incapacità di accettare il corpo. Molte persone ostentano il proprio corpo per suscitare l’ammirazione altrui, ma l’ostentare non equivale ad amare, diventa potere perché vuole esercitare un’influenza sugli altri. L’amore è stare bene con se stessi, accettare le proprie fattezze come un dono ricevuto e viverci dentro come in una casa, con la disinvoltura e la sicurezza che dona la propria abitazione. Il nostro corpo ha bisogno di carezze e tenerezza perché il nostro spirito ha bisogno di amore, di essere riconosciuto e toccato. Il nostro corpo ha bisogno di rilassarsi nel contatto con gli altri. Non vuole essere conquistato, guardato con concupiscenza, diventare oggetto di seduzione e ha paura di essere usato; esso vuole godere del contatto sincero, profondo con l’essere amato in cui sperimenta la libertà di donarsi così come è: anima e corpo nella verità del dono reciproco. Il nostro corpo vuole essere curato perché il nostro spirito brama tutto ciò che è bello, buono e divino, e prendersi cura del proprio corpo vuol dire prendersi cura della propria anima. Anche a cinquanta, settanta, novant’anni esso ha bisogno di cure perché la nostra dignità lo richiede in ogni istante della vita. Il nostro corpo ha bisogno di essere in forma perché se esso è appesantito anche l’anima lo è. Ci ingolfiamo di cibo, di sostanze stupefacenti o di alcol proprio perché la nostra anima è ammalata. Il nostro corpo ha bisogno di silenzio, di meditazione, di passeggiate e di preghiera per entrare in contatto con il corpo di Dio che è il mondo e che vive intorno a noi. Ha bisogno di sentirsi in sintonia con quel qualcosa che è più grande di lui. [...] |
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Matrimoni scoppiati
I matrimoni scoppiano perché nel coniuge si ripongono solo aspettative. Pochi comprendono che il rapporto di coppia va costruito lentamente e non si possono avere pretese. Pretendere che l’altro sia come lo desideriamo, distrugge qualsiasi rapporto. Dio stesso non pretende da noi un cambiamento ma ci chiede di amarlo così come siamo, se allora andiamo bene a Dio perché pretendere un cambiamento per essere amati e per amare? C’è qualcosa di sbagliato in questa richiesta. Forse il nostro rapporto era falso fin dal suo sorgere e l’abbiamo portato avanti nell’illusione che, vivendo insieme, ci si potesse trasformare l’un l’altro. Tuttavia, la convivenza che sopprime la libertà di essere se stessi è un carcere a vita e la fuga ne è la conseguenza logica. Quando ci si sposa e si dà origine a una nuova famiglia, ci si porta dietro un bagaglio di cultura, di esperienze, conoscenze, educazione, difetti, pregi, ferite e abitudini che vanno a confrontarsi con quelle dell’altro. La vita nuova inizia su una base umana già costruita. Il fidanzamento non dovrebbe essere inteso come un matrimonio anticipato, ma come un periodo da vivere nella verità di se stessi che serve a verificare se questa donna o questo uomo sono idonei a costruire insieme una famiglia. È un periodo per scoprire, soprattutto, il carattere dell’altro, le sue reazioni, i suoi difetti e le capacità di accettazione reciproca. Scegliere, poi, di celebrare un matrimonio cristiano senza fede è un insulto a Dio ed è un segno anticipato della sua instabilità. Certi matrimoni sono nulli fin dal loro nascere perché fatti senza piena coscienza e maturità. Il matrimonio cristiano richiede castità nel rapporto sessuale. Castità non significa astensione, significa rispetto della persona. Tante volte due persone non stanno insieme come dono reciproco ma come due egoismi che, non potendosi incontrare, si scontrano. Il gesto sessuale, che è un rapporto di comunione tra le persone e di apertura alla vita, deve essere l’apice di un cammino fatto insieme. Non si può mancare di rispetto al coniuge, tradirlo, alzare le mani e poi la sera pretendere che sia tanto contenta/contento da desiderare di unirsi sessualmente all’altro. Se non c’è rispetto non c’è unione. L’uomo e la donna non hanno il dovere di fare l’amore, perché se l’amore diventa dovere non c’è estasi ma c’è sofferenza, c’è costrizione, sopruso e prima finisce meglio è. La mancanza di rispetto reciproco rende impossibile la convivenza. Vi è mancanza di rispetto anche quando manca la cura della persona. Non si può chiedere l’amore quando manca l’igiene personale, quando manca la correttezza dei gesti e dei comportamenti a tavola, quando si riduce la casa a un mondezzaio, il bagno comune a un luogo indecoroso, la camera che si condivide a un baraccone. Vi è mancanza di rispetto anche quando il coniuge alimenta il vizio e perde la sua dignità. Alcolismo, droga, gioco d’azzardo, infedeltà, pedofilia sono peccati contro Dio, uccidono l’amore e scavano nel cuore di chi riceve queste offese delle ferite profonde che solo l’intervento e l’amore di Cristo può medicare. Il coniuge ferito da queste intemperanze non può né dimenticare né perdonare, può solo pregare per chi lo ha offeso, ma il rapporto d’amore è per sempre spento. In questo caso l’unica possibilità di rimanere insieme nasce dalla fede che alimenta in cuore la misericordia per un uomo/o/donna che Dio ha messo sulla propria strada per essere aiutato a ritrovare la sua dignità come fratello in Cristo e non più come sposo. I matrimoni scoppiano anche perché manca la pazienza e la volontà di portarli avanti. È vero che ci sono delle fratture incolmabili nei rapporti e, tante volte, quando due si lasciano, emerge l’immaturità di uno dei coniugi verso un rapporto stabile. Nella maggior parte dei casi, però, vi è proprio una mancanza di comprensione dei bisogni altrui, vi è un emergere del proprio egoismo che si accanisce sull’altro per motivi banali, per ribadire un proprio punto di vista, per ottenere qualcosa di superfluo di cui si può fare a meno, per minimizzare le capacità altrui e ostentare le proprie (narcisismo, gelosia). Che cosa fare allora per salvare un matrimonio in cui si credeva?
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La creazione dell’uomo è descritta nella Bibbia come la realizzazione del sogno più grande che Dio abbia avuto: quello di diventare Padre! Dio crea l’uomo e la donna perché siano felici, si moltiplichino e gli diano una famiglia che lo faccia gioire della sua paternità. Per realizzare questo sogno egli, con il suo Fiat, dà forma all’universo e alle sue meraviglie, lo accende con la luce delle costellazioni, separa le acque dal firmamento, crea l’asciutto, ossia la Terra, e la popola di esseri viventi, la ricopre dell’erba dei prati, v’immette le foreste e fa sbocciare i fiori. In questo scenario di bellezza, Dio colloca la sua creatura amata e, per non farsi mai scordare, lascia dentro di lei la nostalgia del suo amore che noi chiamiamo anima. Una domanda subito incalza ed è questa: com’è questo Dio del quale l’uomo porta impressa l’immagine? Chi è questo Dio del quale l'uomo sente una nostalgia tutta da decifrare? Dio è un Padre buono che si sostanzializza in un’energia infinita così creativa e vivificante da permeare di sé tutto ciò che crea, a questa fiamma sacra noi abbiamo dato un nome, la chiamiamo AMORE. Dio/Amore si fida di ciò che ha creato e consegna all’uomo e alla donna la libertà: è il dono più grande che potesse fare loro; con esso è come se dicesse alle sue creature: “Io vi amo e voglio che voi siate felici, siete liberi di ricambiare il mio amore, vorrei che lo faceste, ma non ve lo impongo. Se mi amate, vivete nel mio amore, ma se preferite allontanarvi da me e vivere di voi stesse fate pure, spostate i vostri passi nella zona proibita, che è fuori da questo giardino pieno di delizie e seguite la tentazione del male che vi esclude da me”. La Bibbia lo spiega con parole differenti, ma la sostanza è la stessa, ci dice che Dio ha messo l’uomo in uno splendido giardino, che è la vita, e gli ha detto: <<Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire>> La conoscenza del bene e del male significa mettersi al posto di Dio, quindi escluderlo dalle decisioni della propria vita. La libertà dell'uomo, purtroppo, non sceglie di amare Dio e di accettare il suo progetto e introduce nel mondo la novità del peccato facendo perdere all’uomo quella veste candida, fatta di luce, che lo rivestiva nella creazione: <<Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi>>. L’essere nudi significa avere perso la luce di Dio ed essere diventati esseri mortali. Da quel momento, l’uomo è costretto a riconoscere continuamente la sua precarietà perché il male che ha scelto ha fatto saltare l’armonia di ogni rapporto: dell’uomo con se stesso, dell’uomo con i suoi fratelli, dell’uomo con il cosmo. La storia umana, da allora, porta con sé non solo il segno luminoso del Creatore ma anche il segno tenebroso della libertà umana diventata peccato: mondo e storia non sono più come Dio li aveva pensati e creati. Allora non c’è più speranza, ci domandiamo? Dobbiamo rassegnarci inermi al dilagare del male? No, la Bibbia ci dice che, se il peccato allontana l'uomo da Dio, non allontana Dio dall’uomo: dopo il peccato Dio continua ad amare l'uomo e da Dio Creatore diventa Dio Redentore.
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Se entriamo in noi stessi e raggiungiamo la parte più riposta della nostra anima, ci accorgiamo che abbiamo tutti una nostalgia, una agitazione del profondo che non ci fa essere sereni, è come se ci mancasse qualcosa di essenziale: è la nostalgia di Dio, la nostalgia di un Padre e di una Madre che corrispondano alla vastità del nostro vuoto. Per quanto buoni e bravi possano essere i nostri genitori, noi aneliamo a qualcosa d’infinitamente altro che, come calamita, ci attrae verso un mistero più grande di noi. Non bisogna, infatti, dimenticare che quando Dio crea l’uomo dichiara: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza>>. Sono parole formidabili che ci rasserenano e ci fanno toccare con mano la forza della sua paternità. Dio, in effetti, è il modello di ogni paternità e di ogni maternità; sì, perché Dio è padre e madre, dal suo cuore derivano i sentimenti di entrambi perché lui ne è la fonte e il dispensiere. Essere figli di un tale Padre, ci rende creature straordinarie. Nella creazione siamo stati dotati di talenti: d’intelligenza, della capacità d’interagire gli uni con gli altri, di un’anima per vivere in comunione e armonia con il Creato e accoglierne il Creatore; però dobbiamo volerlo. Siamo noi a dovere fare del vuoto che abbiamo dentro di noi il motivo d’incontro con l’Eterno, per riempirlo di lui, per fare della nostra nostalgia la ragione della nostra felicità. L’idea malsana che Dio è il giudice che manda all’inferno è la cosa peggiore che sia stata attribuita a Dio. Molti, nella famiglia, hanno vissuto la paternità come autorità e hanno attribuito a Dio le stesse dinamiche umane, ma non è così. La paternità di Dio è divina, è avvolgente, è appassionata, è donata ai suoi figli come uno sposalizio che tutto appaga, tutto risana, tutto inebria della sua passione. Gesù l’ha vissuta tutta, l’ha testimoniata, l’ha lasciata a noi in eredità come un memoriale da rivivere, interiorizzare e corrispondere se vogliamo essere felici. Chi non ne fa esperienza in terra, potrà anche morire con il rimpianto di non averla accolta. Dio non manda all’inferno nessuno, siamo noi che scegliamo. Dio disse a Mosè: “Io metto davanti a voi il bene e il male, la vita e la morte, scegliete voi”. Se non abbiamo mai tempo per Dio come facciamo a conoscerlo? Come facciamo a ricevere la sua tenerezza, a vedere il suo sorriso, a sentire la sua carezza, a ricambiare il suo amore? Dio è sempre aperto al perdono come un padre buono e quando perdona annulla il male, lo dimentica in eterno, ricrea la persona rendendola nuova, pura, immacolata. Dio sapeva che dandoci la libertà avremmo potuto usarla male, è per questo che nel suo cuore c’è sempre stato un oceano di misericordia per la sua creatura. La libertà è senz’altro il più grande dono che Dio abbia fatto all’uomo, ma può diventare una schiavitù se usata male. Noi, spesso, abbiamo un concetto sbagliato della libertà e pensiamo che essa corrisponda al fare quello che ci pare, ma la nostra libertà finisce dove inizia la libertà altrui, nessuno può prevaricare la libertà dell’altro, questa è una legge basilare, conquistata attraverso i secoli cui noi diamo il nome di “civiltà”, e c’è di più: la libertà è qualcosa che promuove la vita dandole senso. [...]
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"In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque". Il mondo era stato creato, ma non aveva forma, era ancora caos, era tenebra, abisso; poi lo Spirito del Signore cominciò ad aleggiare sulle acque ed emerse la creazione e fu il cosmo. Il cosmo è esploso dall’amore di Dio che, come ultimo atto della sua potenza creatrice, ha plasmato la creatura umana e ha lasciato nel suo corpo una nicchia di divinità che aspetta il sì dell’uomo per essere riempita dal Suo Spirito. È come se dentro l’essere straordinario da Lui creato vi fosse il negativo fotografico della Sua immagine, negativo che attende l’invito libero dell’uomo per far scattare l’immagine reale, palpitante, viva del suo Volto Divino. Lo Spirito Santo è, quindi, l'estasi di Dio verso di noi, è l’Amore di Dio che si mette in comunione con noi per divinizzarci. La grandezza dell’amore divino è tale da volere farsi sostanza in una persona da lui creata per essere in continuo contatto con lei, per renderla sempre più simile a Lui, per non perderla, per amarla. La Spirito divino, però, come abbiamo già detto, non obbliga alcuno a seguirlo, è così rispettoso della libertà dei figli che li lascia liberi di ricambiare il suo amore ma anche di allontanarsi da Lui. Ecco, allora che lo Spirito Santo, Spirito del Dio/Amore geme, si nasconde, attende, bussa alla porta e, quando è invitato a entrare, esplode nell’anima, inonda la persona, la cambia e la conduce. Lo Spirito Divino si presenta come forza amante, generatrice di vita, potenza comunicatrice di ogni impulso di bene che fa vibrare tutto il nostro essere. Egli ci spinge a vivere e a morire d’amore… perché Egli è l’Agape, ossia la punta più alta dell’amore trinitario. Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, ci spiega come lo Spirito Santo sia la potenza amante della Trinità, il motore, il carburante e ci dà una sua immagine molto bella quando dice: il Padre è l’amante, il Figlio è l’amato, lo Spirito Santo è l’amore! È quest’amore concreto che s’incarna nella nostra vita e ci abita: noi ne diventiamo il Tempio. Se ripercorriamo la nostra esistenza, dalla nascita a ora, malgrado i diversi problemi avuti, sentiamo dentro di noi una forza enorme che ci induce ad amare e a essere amati. Attraverso le situazioni più difficili, a volte dure e inspiegabili, ci sentiamo sempre raggiunti lì, in quella difficoltà, in quel problema, da una pulsione di bene, da un segno di speranza che ci dà una spinta verso una vita nuova: è lo Spirito Santo che si affaccia e ci parla. Quando il Vangelo di Luca ci parla dell’Annunciazione, ci dice che l’ombra dello Spirito Santo si posò su Maria e la potenza dell’Altissimo entrò in lei e permise l’incarnazione di Gesù: fu solo un’ombra dello Spirito di Dio ma quale forza ha avuto! Quale esplosione vitale ha permesso! Quale mistero ha aperto davanti agli occhi attoniti della storia se ha reso possibile che Dio stesso si facesse uomo nel seno di una donna! Lo Spirito amante di Dio, diventato sposo divino di una vergine, è rimasto accanto a Lei per sempre, le ha dato la forza di seguire il Figlio nel mistero della sua vita, mistero che non ha mai compreso e che la spingeva a “serbare ogni cosa nel suo cuore”. Le ha dato la fermezza di continuare a dire “sì” sotto la croce, segno di grande violenza da parte degli uomini, ma di grande amore da parte di Gesù. Le ha fatto capire che anche lei era chiamata ad amare quell’umanità per la quale suo Figlio stava dando la vita. È lo Spirito Santo che ha accompagnato Gesù nella sua esistenza in terra, lo ha sostenuto nelle prove, gli ha fatto sentire l’abbraccio del Padre unendolo a Lui così intimamente da poter dire: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”. È sempre lo Spirito Santo che ha permesso all’uomo Gesù di svelare agli uomini il vero volto di Dio, di chiamarli amici e di promettere loro la vita eterna. È ancora lo Spirito Santo che ha consentito la resurrezione del Figlio amato che non era destinato alla morte ma a riprendersi il posto accanto al Padre e a preparare un posto ai suoi nuovi amici redenti. La Resurrezione di Gesù non può essere più un mistero per chi si fa invadere dallo Spirito e cammina con Lui. Se, infatti, la sua sola ombra ha reso possibile l’incarnazione di Cristo è facile credere che la potenza di quello stesso Spirito abbia reso anche possibile la sua Resurrezione. Il lenzuolo afflosciato, non piegato, ancora sigillato a formare un involucro compatto rivela l’esplosione dello Spirito di Dio Creatore all’interno di quel simulacro di stoffa. L’energia che l’ha pervaso dall’interno non ha aperto il lenzuolo per farne uscire una persona, ma l’ha superato, attraversato, lasciandolo intatto a riprova della sua onnipotenza. È singolare come la Sacra Sindone ne riproduca la dinamica e come essa sia stata scientificamente datata al tempo di Gesù e attribuita al luogo dove egli venne sepolto. La scienza non può dirci se il lenzuolo è quello in cui Gesù venne avvolto, ma la fede ce lo suggerisce. Se lo Spirito Santo è Amore, per accoglierlo bisogna sapere amare. Egli accompagna ogni uomo verso la santità e non chiede grandi cose, chiede solamente un “Vieni!” e lui entra, ci esorta a non lasciarsi vincere dal male ma a vincere il male con il bene, a compiere piccoli gesti d’amore, a versare piccole gocce nel grande oceano delle opere umane perché sono queste che servono per cambiare il mondo. Lo diceva anche Madre Teresa di Calcutta: “Se in quell’oceano non vi fosse quella goccia sarebbe un oceano diverso”. Dio ci ha creato per fare cose grandi e se siamo pienamente noi stessi, ossia quelli che Lui ha plasmato, riusciremo a edificarle. È un peccato mortale, è una bestemmia, dire: io non valgo niente. Anche se abbiamo peccato, se ci sentiamo indegni di ogni perdono, invocando lo Spirito di Dio saremo salvati. Il salmo cinquanta, bellissimo, “Pietà di me Signore…”, è stato scritto dal re Davide nel momento in cui aveva tradito il suo migliore amico unendosi a sua moglie e poi lo aveva fatto uccidere. Qual è la cosa meravigliosa, però? Che quel salmo, alla fine, testimonia un amore più grande di fronte al peccato di Davide, un amore che lo abbraccia, lo ama profondamente e gli dice: “Tu sei mio figlio, sì, hai peccato, ma tu vali di più del tuo peccato”. |
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La storia della fede cristiana non inizia né con i profeti né con i martiri, inizia con il sì di Maria che accoglie nel suo seno verginale una vita che non le appartiene, una vita che appartiene a Dio e ha bisogno di essere adottata e custodita nella vita dell’uomo. Crediamo che ci fosse proprio bisogno di una donna per darle inizio, una donna già scelta nel giorno in cui Dio staccò una costola ad Adamo e la ricompose in una figura umana fatta a sua immagine e somiglianza di madre. Sì, perché Dio non è solo nostro Padre, ma è anche nostra Madre. Non c’era bisogno di un uomo per suscitare dentro di noi il mistero della fede cristiana, ma di una donna, perché l’uomo è più portato a gestire le cose con il suo lavoro, a comandare sugli altri, mentre la donna ha iscritta nel suo corpo la vocazione all’accoglienza. Ella è stata creata per ricevere dentro di sé il seme di un altro, la vita di un altro e, da questa vita, lasciarsi trasformare…, lasciare che il suo corpo si allarghi per dare spazio a qualcun altro, lasciare che il suo cuore si espanda per diventare capace d’amare, capace di abbracciare, di sussurrare parole inventate alla creatura che porta in seno. Solo la donna sa donarsi al punto da trasformare i suoi tempi per accogliere i tempi della nuova vita che l’ha abitata. Maria, nel suo “eccomi”, ci insegna che la fede è fare spazio a Dio nella nostra vita, lasciare che Egli entri, che prenda forma, che cresca dentro di noi, allarghi la nostra anima e i nostri sentimenti, che ci trasformi al punto di diventare nuove creature da lui rigenerate, da lui amate teneramente, da lui ricondotte alla sua immagine creatrice. Maria ci insegna a fare tutto questo senza paura di abbandonarci a Qualcuno che ancora non conosciamo ma che sentiamo vivo, palpitante dentro di noi al punto di credere fermamente che tutto ciò che Egli opererà in noi sarà più bello di quello che noi sapremmo costruire da soli. La fede in Cristo, allora, è dinamica, è un cammino d’interiorizzazione per una comprensione sempre più profonda del Suo mistero. La fede/dono è fare esperienza di Dio e viene alimentata dalla nostra relazione con Cristo che ci vuole suoi amici. Se non siamo in relazione con Cristo, se non dialoghiamo con lui, se non ci capiamo, se pensiamo solo a giustificarci davanti a lui dicendogli: “Io non ho fatto nulla di male, quindi, mi sento a posto”, non entreremo mai in relazione con lui. Ciò che ci esclude dalla sua amicizia non è tanto fare il male ma è non fare il bene e fare il bene significa “Amarci come Lui ci ha amato!”. Se siamo sempre impegnati a correre attraverso le cose del mondo, se siamo sempre interessati a crescere nell’avere, nell’accumulare, nel possedere, nel diventare importanti agli occhi altrui, nel comandare, nel gestire le vite degli altri e non abbiamo mai tempo per entrare in noi stessi e interrogarci sul senso della vita, noi rifiutiamo il Dono della fede. Dio nel suo Dono parla, ci chiede di affidarci a lui così come siamo, sarà Lui a modificarci, piano, con pazienza. L’Amore di Cristo, infatti, è paziente, guarda lontano e, una volta donato, rimane con noi per sempre, anche se per un periodo noi ci allontaniamo da Lui. Per esserne convinti rileggiamo insieme la preghiera scritta da Monsignor Lebrun che, con le sue parole, ha messo a fuoco ciò che Cristo vuole dire a ogni anima che, per la prima volta, si avvicina a Lui: il suo titolo è “Amami come sei”. “Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei... Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non ricommettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei... Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che io Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore di poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: "Gesù ti amo". Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno ne' della tua scienza, ne' del tuo talento. Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia... Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare... Ma ricordati... amami come sei... Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va..."
[...] La Parola è la grande protagonista del cristianesimo. È la Parola che crea legami fra gli uomini, è la Parola che crea l'universo, è la Parola che diviene il volto del Signore Gesù: “il Verbo (ossia la Parola) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” Dio si è svelato agli uomini secondo le loro capacità di capirlo, un passo alla volta, lungo la storia di un popolo chiamato a rivelare a tutta l'umanità ciò che della manifestazione di Dio ha sperimentato e conosciuto. Come un maestro attento, un pedagogo di straordinaria bravura, Dio ha raccontato se stesso facendo attenzione di essere compreso, svelando progressivamente il suo volto, di generazione in generazione, fino al pieno svelamento di sé in Gesù Cristo. La Bibbia, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento, nasce prima come esperienza storica e spirituale, come evento concreto e, successivamente, come libro scritto. Ciò che unisce questi due libri è la consapevolezza, da parte di Israele prima e della Chiesa poi, che essi sono ispirati da Dio, che lo Spirito Santo ha suscitato in chi li ha scritti un'intuizione, un'illuminazione che proviene dall’alto. Proprio perché scritta da uomini la Bibbia è incarnata nel tempo in cui è stata composta, risente degli influssi culturali dei paesi confinanti, della formazione e delle idee degli autori, delle loro convinzioni politiche, del loro contesto sociale. Il cristianesimo è, quindi, una religione storica, ancorata ai fatti, è intellegibile, non riservata a pochi eletti, non legata alla pratica di culti misterici. La fede cristiana è ragionevole, non razionale. Non possiamo "dimostrare" che Gesù sia il Figlio di Dio, non possiamo "accertare" l'esistenza di Dio, così come non possiamo verificarne l'assenza! La fede in Gesù si basa sulla testimonianza di chi l'ha conosciuto, sulla rilevanza delle sue parole e dei suoi gesti, sulla coerenza e sull'equilibrio di chi vive seguendo la sua voce. Gli apostoli predicavano ripetendo le parole che aveva detto Gesù e raccontavano le cose che Lui aveva fatto, perciò era Gesù stesso la loro fede, non erano le regole. Le regole non sono mai piaciute al nostro Maestro, egli le ha sostituite con le beatitudini che ci hanno insegnato la via dell’amore. Il “Beato tu se…” è riferito a chi, ingiustamente, è punito per avere vissuto il Vangelo con la vita e averlo urlato dai tetti delle case disturbando, così, il potere che da esso si è sentito infastidito. La fede, allora, è evento personale, intimo, profondo, radicato in noi e radicale, che cambia tutta la vita quando l’accogliamo: non si resta gli stessi dopo avere detto sì al Signore Gesù, dopo essere divenuti suoi discepoli. Se crediamo che Gesù è il Figlio di Dio, crediamo anche a tutto ciò che egli ha detto del Padre e dell'uomo. [...] |
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La nostra anima esprime la nostra personalità, è il centro armonioso di noi stessi ed è la sede dell’amore di Dio in noi; la salute dell’anima è altrettanto importante della salute del corpo perché nella Resurrezione, alla fine del mondo, ognuno di noi riceverà un nuovo corpo ma non una nuova anima, infatti l’anima che è in noi è eterna. La preghiera è il cibo dell’anima, se non preghiamo, la nostra anima deperisce e muore, proprio come deperisce e muore il nostro corpo se non mangiamo. Noi abbiamo mille cure per il nostro corpo, ed è giusto perché è un dono di Dio, guai a chi trascurasse la salute! Dovremmo usare, però, la stessa profusione di attenzioni per il nostro spirito se vogliamo vivere in armonia con noi stessi. Ogni persona è specchio dello spirito che la abita e colui che se ne prende cura entra nella grazia di Dio, vive nella pace, diventa persona di pace, le brillano gli occhi dalla contentezza ed è viva! Non importa se abbiamo dei problemi e quanti ne abbiamo, i problemi li hanno tutti, l’importante è non permettere che essi ci travolgano e, soprattutto, saper fare di ogni ostacolo una pedana di lancio verso la realizzazione di noi stessi: la vita nostra vale più di tutti i problemi! Ogni cammino di fede serve a integrare nello spirito la parte umana che è in noi perché la grazia eleva la nostra umanità non la schiaccia! La relazione con Dio cambia la nostra esistenza e non ci fa più sentire soli. Anche se fossimo segregati, anche se fossimo in carcere, sentiremmo la presenza di Dio perché con lui possiamo dialogare proprio in quella realtà che chiamiamo preghiera. Non si può vivere senza preghiera: “Essa è il nostro rapporto personale con Dio”. Se è vero che Dio è padre, come ogni padre vuole avere una relazione di confidenza, di complicità con i figli. È fondamentale, allora, liberare la nostra testa da tutte le idee sbagliate che abbiamo della preghiera, idee che spesso sono anti-preghiera, e comprendere, invece, cos’è la vera preghiera, altrimenti non ci si capisce più con il Signore. Non si può incontrare Dio nelle preghiere imparate a memoria, non si può fare esperienza di Dio recitando rosari, ripetendo orazioni preconfezionate o facendo vie crucis; sono tutte devozioni belle, ma non aprono l’anima a quel colloquio personale nel quale raccontiamo a Dio la nostra vita, le nostre pene, la nostra confusione, i nostri dubbi e glieli affidiamo perché ci aiuti a superarli. “Quando pregate dite poche parole perché il padre vostro già sa di cosa avete bisogno”, ci dice Gesù, e con il suo esempio ci insegna che essa è fatta di silenzio, di abbandono e di ascolto; ci insegna, anche, che essa nasce dal cuore e cerca un altro cuore: quello Suo. Entrare nel cuore di Cristo è il paradiso. La prima cosa per impostare una vera preghiera è sentirne il bisogno, è cercare l’amato, cercare lo sposo per dirgli “ti amo”. Dio risponde al nostro desiderio profondo e, quando due desideri s’incontrano, è impossibile non fare l’Amore. Fare l’amore con Dio è raggiungere l’estasi dei santi. È un’esperienza che possiamo fare tutti, ma è anche un percorso di vita, un cammino personale cui dobbiamo anelare, altrimenti il pregare diventa un monologo con noi stessi e ci lascia indifferenti. [...] La preghiera ci aiuta a essere caritatevoli verso gli altri, solo pregando possiamo sopportare le interferenze altrui nel nostro quotidiano, da soli non ce la facciamo. Noi non siamo perfetti, siamo creature deboli che cadono continuamente e che Dio aiuta a rialzarsi, ma glielo dobbiamo chiedere. È inutile turbarsi se qualcuno ci fa uno sgarbo, a volte siamo stanchi, nervosi, non ci sentiamo bene, ognuno ha i suoi limiti, c’è un antico detto che dice: “Se cerchi fratelli senza difetti rimani senza fratelli!”. La preghiera ci rende più forti nella tentazione. Tutti siamo indotti in tentazione, l’importante è non assecondarla. Gli impulsi fanno parte dell’uomo, non sono peccato, essi possono diventare una grazia, un dono di Dio perché ci fanno capire quanto siamo fragili. Se siamo convinti di non avere tentazioni vuol dire che siamo già morti. La preghiera ci tiene vivi e porta benessere al nostro corpo. Ecco le parole di due uomini degni di essere ascoltati. Alexis Carrel, premio Nobel di fisiologia, ha scritto: “L’influenza della preghiera sullo spirito e sul corpo è dimostrabile quanto la secrezione ghiandolare. Come medico ho visto uomini uscire dalla malattia e dalla depressione attraverso lo sforzo sereno della preghiera quando ogni medicina aveva fallito”. E ancora: “La preghiera è un atto di maturità indispensabile per il completo sviluppo della personalità. L’ultima integrazione delle facoltà più intime dell’uomo. È solo pregando che noi raggiungiamo l’unità completa e armoniosa del corpo, dell’intelligenza e dell’anima che conferisce alla struttura dell’uomo la forza”. William Parker, psicologo che s’impegnò a dimostrare dal punto di vista scientifico l’efficacia della preghiera sull’uomo, arrivò a questa conclusione: “La preghiera è il mezzo più importante per la ricostruzione e la riabilitazione della personalità di un uomo”. A conclusione dei suoi esperimenti scrisse un libro per dimostrare che la preghiera può cambiare la vita in qualunque momento, in qualunque situazione ci troviamo e in qualunque età. Sono due premi Nobel, quindi vuol dire che gli effetti sono stati da loro scientificamente provati. [...] Nel nostro star male la preghiera è luce nel buio, non è un antidoto all’angoscia, ma un aiuto. Dio non ha tolto l’angoscia a Gesù, ma è rimasto con Lui nell’angoscia. Se pensiamo che Dio ci tolga il dolore, il dramma, la sofferenza della vita, allora ancora non conosciamo Dio. Dio rimane con noi nelle difficoltà, lo ha fatto con Gesù, lo farà con tutti noi che siamo suoi figli. Quando guardiamo alla vita di Gesù e soprattutto alla sua morte, capiamo che la preghiera non è un dovere, Gesù pregava perché nel dramma della morte violenta sentiva bisogno del sostegno del Padre, di averlo accanto. Dire che “Bisogna pregare” è un’espressione terribile, la preghiera non la dobbiamo a Dio, la preghiera fa bene a noi. C’è ancora chi prega per non sentire i rimorsi della coscienza e se dimentica la preghiera della sera si sente in colpa come se avesse tolto qualcosa a Dio, o se Dio si potesse dispiacere. Ci sono persone che si sentono bene se pregano e male se non lo fanno, ma il loro bene o male equivale al loro sentirsi a posto o a sentirsi in debito; la preghiera, però, non è per ottenere meriti o un occhio di riguardo da parte di Dio, la preghiera del Vangelo non aumenta l’aureola della persona, la preghiera non è l’ufficio cambi. Gesù, nel Vangelo, per due volte si è rammaricato con i discepoli che chiedevano di essere salvati e per due volte, pur salvandoli, ha detto loro: “Uomini di poca fede”. “Cambia mio marito, cambia mia moglie, fa che mio figlio capisca… Signore dagli... Signore accoglilo…”, gli chiediamo, ma perché non gli chiediamo di cambiare i nostri cuori invece di quelli altrui? Di aprire noi al bisogno degli altri? Pregare non consiste nel chiedere al Signore che gli altri cambino, ma che cambiamo noi. Pregare non è la lista della spesa e neppure un promemoria per Dio. La preghiera fatta con fede cambia il cuore di chi prega; se preghiamo e rimaniamo con il cuore duro, allora, la preghiera che abbiamo fatto è una non preghiera; se preghiamo e rimaniamo sempre gli stessi è una preghiera vana; se preghiamo e rimaniamo giudicanti, sprezzanti o ci sentiamo superiori o migliori degli altri, è una preghiera inutile. Nel Getzemani Gesù prega e riesce ad accettare l’inaccettabile, il suo cuore si allarga fino a diventare un sì di totale abbandono al Padre: “Non capisco, ma ti dico di sì e mi affido a te”. Il cuore di Gesù non cade nell’odio per i suoi nemici, ma rimane capace d’amare. I suoi nemici avrebbero voluto che lui dicesse: “Bastardi, mi state uccidendo ingiustamente, vorrei che Dio vi fulminasse e mi facesse giustizia”; avrebbero voluto minare d’odio il cuore di Gesù, ma non ci sono riusciti. Gesù dice: “Non sapete quello che fate, se lo sapeste non lo fareste, vi amo ancora, vi amo lo stesso, vi amo di più perché ne avete più bisogno”. Il cuore di Gesù rimane libero. Pregare è anche chiedere perdono per i peccati del mondo accogliendoli nel nostro cuore con misericordia come ha fatto Gesù e offrire di ripararli con il nostro amore e il nostro perdono per gli altri; pregare è anche accettare la nostra fragilità e chiedere al Signore di sostenerci nelle prove; pregare è chiedere perdono delle nostre mancanze, dei nostri risentimenti, della nostra poca fedeltà al Vangelo, dei nostri mormorii, delle nostre chiacchiere inutili, della nostra mancanza di umiltà, della nostra suscettibilità, dei nostri momenti di tristezza che non gli abbiamo offerto, della nostra mancanza di fiducia in lui e di averlo cercato troppo poco. [...]
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È ragionevole pensare che se la bontà paterna di Dio ci colma di beni in tutta la vita, essa intende beneficarci ancora di più nell'ora dell’incontro finale. Di fronte a una partenza improvvisa e tragica, viene facilmente da pensare che in tal modo Dio abbia voluto punire o almeno sorprendere qualcuno. Pensando così, però, siamo lontani dalla fede che, invece, asserisce che Dio sceglie con infinita sapienza e bontà il momento in cui chiamarci a sé! Certo, noi non possiamo spiegarci il perché di certi accadimenti, ma il ritenerli in contrasto con l'infinito amore del Signore è un atto di sfiducia verso la vita che Dio ci ha donato: noi non siamo stati creati per morire ma per vivere in eterno! <<Abbiate coraggio - dice Gesù - io ho vinto il mondo>>. La vittoria di Cristo sulla precarietà del mondo è la certezza che tutto è rivolto al bene e tutto è vita! Questo deve spingerci a radicare fortemente il nostro essere persone nella grandezza del suo amore. Come sarà l’altra vita? Possiamo fare un parallelismo tra la vita in terra e quella in Cielo? La preghiera che Gesù ci ha insegnato e che ripetiamo nell’intimità del nostro colloquio quotidiano con Dio Padre: <<Sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra>> ci autorizza a pensare che l’amore provato in terra continuerà a essere realtà celeste. La nostra condizione umana non ci permette di avere esperienza di quello che è al di là della soglia terrena ed è un limite che si deve accettare serenamente; Dio, però, nel Suo amore e nella Sua sapienza, ci è venuto incontro con la Sua rivelazione ed esaudisce così, in parte, il nostro bisogno assillante di sapere qualcosa di quello che ci attende nell’Aldilà. Questa rivelazione, però, non si ha attraverso parole dette da Gesù e riportate nel Vangelo; si ha attraverso i fatti che riguardano la vita di Gesù dopo la sua Risurrezione. Sono questi fatti che ci parlano e ci rivelano come saremo nella vita che ci attende ed essi valgono più delle parole. Il fatto di avere visto Gesù risorto ha dato agli apostoli una certezza e una forza tali da portarli a sfidare tutto il mondo di allora. Li ha resi tanto forti nella fede da proclamare la Risurrezione di ogni creatura umana: realtà unica nella storia dell’uomo e base del credo di ogni cristiano. La sicurezza degli apostoli non è stata solo convinzione razionale, è stata esperienza da loro vissuta nella realtà, un'esperienza, quindi, che ha investito tutto il loro sentimento umano, che per loro è divenuta vita e perciò ha accresciuto indicibilmente le loro forze e la loro fede.
Le apparizioni di Gesù dopo la sua Risurrezione, fanno davvero tanta
luce su come saremo nell'altra vita ed è strano che noi non diamo loro
il peso che meritano. Siamo pronti a credere a ogni minimo messaggio che
si pensa giunga dall'aldilà e non riusciamo a lasciarci convincere dalla
certezza che ci apportano le apparizioni di Gesù risorto. La nostra leggerezza dipende, forse, dal pensiero che esse non riguardino gli uomini e le donne del nostro tempo e che Gesù sia risorto e viva di vita gloriosa per se stesso e che ciò sia naturale perché Gesù è Dio. Occorre osservare, però, che Gesù non è risorto perché è Dio, Dio non può risorgere perché egli è l’eterno vivente. Gesù è risorto perché «uomo» ed è risorto come uomo. Ciò che si manifesta in lui dopo la risurrezione, riguarda lui come uomo e, quindi, riguarda proprio noi, creature umane. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e adattarlo alla realtà che Gesù ci rivela sulla condizione dell'anima nell'altra vita. Tocca a noi saperla cogliere evitando di andare alla ricerca di elementi fantasiosi e strani che non hanno alcun fondamento. Le apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione sono rivelazioni con ben solido fondamento e ci fanno vedere come saremo anche noi. L’unica differenza è che Gesù appare con il corpo che ha ripreso dopo la Resurrezione, mentre noi il corpo lo riprenderemo nella Risurrezione finale, quando la vita che noi conosciamo sulla terra sarà cessata e trasformata in vita eterna. Questa è la verità di fede che professiamo quando diciamo di credere nella «Risurrezione della carne». [...] Il nostro pianto trasformato in gioia Vi è un sentimento, abbastanza diffuso, che ci induce a pensare che i nostri defunti possano soffrire se ci vedono piangere per loro. È bene pensare, però, che quando essi ci vedono piangere non vedono soltanto le nostre lacrime, ma sentono anche, e soprattutto, l’amore che ci fa versare quelle lacrime e di questo nostro amore essi ci sono grati e lo ricambiano senza fine. Il cuore ha bisogno di versare le sue lacrime e deve versarle. Tuttavia, piangere al buio è tremendo, se invece lo strazio è illuminato dalla consapevolezza di potere diventare simili a Dio nell’eternità, il nostro pianto non sarà più disperato. Qui le parole di Gesù, riportateci da san Giovanni, fanno tanta luce anche per i casi più sconvolgenti: <<Fin d'ora noi siamo figli di Dio. Ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo come Egli è>>. Le lacrime che versiamo per i nostri defunti sono preziose agli occhi di Dio: egli le raccoglie tutte per il bene dei nostri cari. In quelle lacrime vi è tutto il nostro amore per loro sublimato dal dolore, quindi, è un amore che ci congiunge alla persona amata e arricchisce chi lo vive. Sì, il dolore che si vive nell'amore arricchisce davvero l'anima, ne affina la sensibilità, aumenta la capacità di comprendere il dolore altrui e fa capire quali siano i veri valori della vita.
Il conforto della fede
Nella nostra vita, come in quella di ogni persona, l'evento più importante è proprio il distacco da quella vita che noi trascorriamo sulla terra e in cui ci identifichiamo. È naturale che la sua idea ci spaventi perché noi ne intendiamo il trapasso soltanto come cessazione di vita. Della vita, infatti, abbiamo “esperienza” perché la viviamo. Non potendo avere esperienza di quello che sarà nell’aldilà, ne rimaniamo al buio e, quindi, ne siamo facilmente sconvolti. Ciò fa parte del naturale istinto umano. Molti pensano che non vi sia più nulla al di là della vita terrena e, allora, si comprende il senso di smarrimento che può suscitare l'idea della sua cessazione. Anche per chi pensa che la vita continui nell’aldilà, il pensarlo rimane nella sfera astratta della ragione, non investe tutto il suo essere, non tocca il suo sentimento, non ha nulla di reale e di concreto. Noi, invece, abbiamo bisogno di realtà, di concretezza, abbiamo bisogno di toccare, di sentire, di sperimentare: questo è per noi la vita. Vi è, tuttavia, un’osservazione importante che dobbiamo fare e che ci sembra provvidenziale: quando il nostro chiudere gli occhi sulla terra non giunge improvviso e cioè quando avviene, per esempio, per l'aggravarsi di una malattia, man mano che ci si avvicina al passo estremo, la natura stessa, quasi per una sua pietà materna, ci aiuta a disporci al trapasso. È a noi vivi e sani che il pensiero del distacco fa paura; quando ci siamo vicini è diverso: esso è meno drammatico di quanto si tema. È innegabile che la fede cristiana ci dia il conforto necessario per affrontare il trapasso di chi amiamo. Noi cristiani, infatti, crediamo che le parole di Gesù siano Verità e che il Vangelo sia stato scritto per annunciarle al mondo; possiamo gioire, quindi, nell’ascoltare la Parola che dice: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie Parole non passeranno”. Gesù è la Parola (il Verbo) che si è fatto Carne, Egli si è incarnato per noi e non per se stesso; Gesù ci assicura che un giorno, che nessuno conosce, tornerà a prenderci per portarci con sé e farci provare la gioia di abitare quei “Cieli nuovi e quella terra nuova” da lui promessici. È balsamo alle nostre orecchie, allora, ciò che ha scritto il filosofo gesuita Pierre Teilhard de Chardin: “Noi siamo esseri divini che fanno un’esperienza umana e non esseri umani che fanno un’esperienza divina”. Con questo pensiero inciso nel nostro cuore possiamo aprirci tutti alla speranza di una vita per sempre!
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